I Bambini giocano alla pace e i grandi alla guerra, rubando soldi ai bambini

par Giuseppe Fusco
venerdì 31 dicembre 2010

Mentre il Venezuela protegge i bambini almeno dai giochi bellici, in USA i bambini sono costretti a digiunare per contribuire alle spese di guerra. Questione di interpretazione dei diritti (opzionali) dei bambini.

Ci sono tanti modi per giudicare le civiltà. Spesso tutto si riduce al progresso tecnologico o al livello economico. Ma c’è anche la cultura. Senza dimenticare la situazione socio-politica. Non tralasciando le altre, che comunque le appartengono, esaminando quest’ultima si dovrebbe considerare il raggiungimento di alcuni traguardi quali la pace, i diritti umani e civili (rispetto della persona, democrazia, giustizia), etc. In tutto ciò non si possono ignorare i bambini. Ma chi è più potente e ha più mezzi per imporsi, riesce a relativizzare questo e molto più.
 
Le guerre, come ogni forma di violenza, sono il calpestamento dei diritti. Non si può negare che i bambini, essendo i più indifesi e vulnerabili, pagano maggiormente. Non solo numericamente. Esclusione dall’istruzione, fame, malattie, violenze (anche sessuali), disabilità fisiche, traumi psicologici, separazione dalla famiglia e/o società di provenienza, morte. E c’è sempre un loro coinvolgimento. Passivo o attivo (non dimentichiamo i bambini soldato).
 
Due notizie emblematiche di quest’anno, di carattere opposto, su come si affronta il problema delle guerre. E come si guarda ai bambini.
Una legislazione all’avanguardia. Non si vuol dire che il Venezuela è un paese pacifico (per ora). Quale lo è? Non sarà la soluzione al grave problema della violenza, come si ammette realisticamente. Ma si vuole fare qualcosa e si comincia dai bambini. Dovremmo imparare.
Interessante sofisma. Tutto da studiare. Peccato non si pensi che i bambini sono il cuore del futuro della nostra società. È su di loro che si dovrebbe davvero investire. Mentre la guerra non assicura alcun futuro. In realtà è il rinnegamento del futuro.
 
Questo dopo il taglio dei sussidi federali ai disoccupati. Più di qualcuno sarà anche genitore di quei bambini.
 
Purtroppo vediamo come i bambini pagano sempre il prezzo delle guerre. Economico o altro. Direttamente o indirettamente. Avvengano sotto casa o a migliaia di chilometri di distanza. Perché i grandi sono convinti che ci sia sempre qualcosa di più importante. I bambini possono aspettare. Magari all’infinito. Si può rubare loro perfino i soldi del cibo. Per la guerra i soldi non possono mancare. Meglio comincino a imparare da piccoli che alla guerra devono dare tutti una mano. Volenti o nolenti … o dolenti.
 
La Convenzione ONU del 1989 sui Diritti dell’infanzia, afferma che si deve “vigilare” affinché coloro “che non hanno raggiunto l’età di quindici anni non partecipino direttamente alle ostilità” (art. 38/2), aggiungendo che reclutando “persone aventi più di quindici anni ma meno di diciotto anni, gli Stati parti si sforzano di arruolare con precedenza i più anziani” (art. 38/3).
 
Leggendo queste parole viene quasi da sorridere. Amaramente. A parte che l’età indicata per la partecipazione “diretta” è già un problema. E quello “sforzo” di cui si parla sembra un po’ ridicolo. Ancora più grave è che implicitamente si ammetta la partecipazione “indiretta” di chi ha meno di 15 anni. Un concetto che, come abbiamo visto, può risultare abbastanza ampio. E compromettente per molti. Allora si decide di non affrontarlo.
 
Per riparare a questa situazione, nel 2009 si è creato un “Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati”. Già il titolo fa insospettire. Un passo avanti. Opzionale. Come se i diritti fossero una concessione. E si fa se capita. O se qualcuno se la sente. Ma c’è un qualche progresso? I tredici articoli sembrano voler migliorare la situazione esistente. In apparenza.
 
Art. 1: “Gli Stati parti adottano ogni misura possibile in pratica, per vigilare che i membri delle loro forze armate di età inferiore a 18 anni non partecipano direttamente alle ostilità.”
 
Quindi l’età ora viene elevata. Ma resta ancora quello strano e ambiguo “direttamente”. E ancora attenzione.
 
Nell’articolo 2 si specifica che sotto i 18 anni non dovrebbe esserci “arruolamento obbligatorio”. Ma c’è la possibilità per quello “volontario” (art. 3/2). E si aggiungono le garanzie da seguire (art. 3/3):
 
a) che tale arruolamento sia effettivamente volontario;
b) che tale arruolamento abbia luogo con il consenso illuminato dei genitori o dei tutori legali dell'interessato;
c) che gli arruolati siano esaurientemente informati dei doveri inerenti al servizio militare e nazionale;
d) che essi forniscano una prova affidabile della loro età prima di essere ammessi a detto servizio.
 
È considerabile “arruolamento effettivamente volontario” se c’è una pressione quale ad esempio il bisogno economico e/o il timore di un futuro altrimenti da disoccupato? Interessante il “consenso illuminato” a cui ci si riferisce. Si guarderà se è stata pagata la bolletta della luce? Il punto riguardo l’informazione sui “doveri” lascia allibiti. Perché non si parte dall’informazione sui diritti inerenti al loro stato di fanciulli? Forse ridurrebbe il numero di “volontari” (anche fosse uno). Ma in realtà neanche i grandi hanno un’idea molto chiara su questi diritti. O non conviene averla. Quindi si decide di lasciar perdere.
 
La “protezione speciale” per chi non ha ancora compiuto 18 anni (art. 3/1) purtroppo non diviene un vero impedimento all’esposizione a eventi bellici. Se non per “i gruppi armati, distinti dalle forze armate di uno Stato” (art. 4/1). In cosa consiste e perché questa distinzione? Non si parla delle stesse persone, inferiori a 18 anni? O lo status cambia a seconda se si è arruolati da pinco o da pallino?
 
Un altro anno del secondo millennio è passato. Il bilancio delle nostre civiltà è ancora abbastanza negativo. C’è un grande bisogno di rimboccarsi le maniche.

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