Hobbes: la retroattività della legge è atto di ostilità

par francesco latteri
venerdì 13 settembre 2013

Thomas Hobbes, 1588 - 1679, è considerato a ragione, ancor più che Machiavelli, il fondatore della concezione politica dello Stato moderno.

Una concezione eminentemente laica, anche se in essa trova posto pure la religione, e spesso invisa ai religiosi, a cominciare da quelli del suo tempo. Amato Hobbes non fu neppure dai laici e dai monarchici "strictu sensu" per una concezione della realtà che, come per tutti i grandi, Machiavelli compreso, andava oltre quella del suo tempo.

Nondimeno, i concetti hobbesiani circa la retroattività della legge si ritrovano già nientemeno che in San Paolo. Già il celebre cittadino romano originario di Tarso affermava infatti che è per mezzo della legge che si conosce il peccato, ovvero il divieto e la colpa, e che prima della legge, non essendoci la legge, non possono esistere neppure il divieto, il peccato e la colpa. In proposito San Paolo non innova invero nulla, derivando la sua concezione da due filoni culturali a lui connaturati: la legge ebraica ed il diritto romano, entrambi da lui rivendicati con orgoglio.

Thomas Hobbes riprende la questione tra l'altro ne "Il Leviatano" nella sessione a ridosso di quella dedicata alle leggi civili, e, significativamente, immediatamente precedente quella dedicata alla dissoluzione dello Stato.

"Un crimine - scrive Hobbes - è un peccato che consiste nel commettere (con fatti o con parole) ciò che la legge vieta o nell'omettere ciò che comanda. Cosìcché ogni crimine è un peccato, ma non ogni peccato è un crimine. (...) Da questa relazione del peccato alla legge, e del crimine alla legge civile, si può inferire in primo luogo che, ove cessa la legge, cessa il peccato. Ma per il fatto che la legge di natura è eterna, la violazione dei patti, l'ingratitudine, l'arroganza e tutti i fatti contrari a qualunque virtù morale, non possono mai cessare di essere peccato. In secondo luogo, che, quando cessa la legge civile, cessano i crimini, perché, non rimanendo altra legge che non sia quella di natura non c'è posto per l'accusa, dato che ogni uomo è giudice di sé stesso, è accusato solo dalla sua coscienza e questa è prosciolta dalla rettitudine della sua intenzione. Perciò, quando la sua intenzione è retta, quello che fa non è un peccato; se è altrimenti, quello che fa è un peccato ma non è un crimine." 

È da queste premesse che Hobbes ricava la non retroattività della legge: "Nessuna legge costituita dopo che un fatto è stato compiuto può renderlo un crimine, perché se il fatto è contro la legge di natura, la legge c'era prima del fatto; se altrimenti, non si può prendere cognizione di una legge prima che sia fatta e perciò non può essere obbligatoria."

Dunque, parallelamente a San Paolo, anche per Hobbes la pretesa della retroattività della legge è un atto prevaricatore della legge stessa e perciò un atto di ostilità


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