High School Musical: fenomeno di massa inspiegabile e baratro del cinema?

par Ambra Zamuner
martedì 11 novembre 2008

Sì. Era una domanda retorica...Mi sono introdotta ad una pomeridiana per spiare l’antropologica visione della moda tredicenne di oggi, e anche più giovane considerando i bambini presenti...Sono uscita con un occhio vitreo e pulsante e un brivido freddo lungo la schiena. E’ questo il futuro?

Partendo dalla classifica affidabilissima pubblicata dal New York Times sui film più visti, dopo essermi ripresa dal successo tremendo e spaventoso del film sul chihuahua, la seconda cosa più scioccante che si può constatare è la presenza del terzo capitolo di High school musical. Mi sono informata a dovere e grazie a dei biglietti gratuiti mi sono lanciata nella marea di mamme e bambini in un teatro della mia città per assistere al Musical. Era da tempo che mi incuriosiva il fenomeno, che non è culturalmente confortante come la diffusione di Harry Potter che quantomeno spinge i bambini alla lettura oltre che ad avvicinarsi al cinema.

Il tema, a quanto pare, vede coinvolta una scuola americana che propone la sua eterna squadra di basket con il suo piccolo playmaker e una nuova alunna cervellona entrambi con la passione per il musical e il canto. Ahimé però, la società americana del "vinci sempre, impegnati di più" li confina uno in un gruppo sportivo, l’altra nel club di scienze costringendoli così ad aderire ad un entourage ben definito trascurando la loro vera passione. Sì perchè come ben sappiamo in ogni liceo oltreoceano e anche qui da noi ci sono delle aggregazioni a seconda dell’orientamento stilistico (alternativi, skater, patiti delle griffe), sportivo (basket, baseball, football, calcio), culturale (scacchi, scienza, matematica, informatica). Inutile stupirsi dell’incanalamento e della pressione a cui il bambino è sottoposto dovendo far parte perforza di uno di questi gruppi che lo convincono che prendendo parte a uno di questi il suo futuro sarà già definito. Non poteva mancare inoltre la figura della vipera carina a cui tutti vogliono assomigliare, che sfoggia il nome di una razza di cane dal pelo elettrizzato (Sharpay), ma che domina la scuola come se fosse sua, costringendo il resto dei ragazzi a seguirla come farebbero delle pecorelle in cerca del gregge perduto. State avendo dei ricordi grazie a Grease? Bravi,in effetti gli elementi ci sono eccome.

Chiaramente il messaggio morale del musical, delle pellicole in sala e del film per la tv High School Musical, nato su Disney Channel, si rivolge all’integrazione. Se sei un ragazzino a cui piace ballare e cantare anche se sei nato per fare altro non è detto che tu non possa esprimerti in entrambe le cose, coltivando la tua individualità.
Detto questo, mi concentrerei sul musical in se che a Torino è stato messo in scena dalla compagnia della Rancia una delle più famose compagnie in Italia, che porta nei teatri successi come A Chorus Line, Jesus Christ Superstar, Grease. Non mi posso certo esprimere per quanto riguarda gli altri spettacoli, ma la versione proposta di High School Musical, considerando le attenuanti del "è creato per i bambini" e "il cast è davvero intonato", risulta quantomeno imbarazzante. Testo incredibilmente fastidioso, arrangiamento dei pezzi noioso senza considerare che sono impietosamente tradotti e anche malino, recitazione sopra le righe e sempre con la classica voce da attore impostato, anche se quindicenne o giù di lì. In tutto si salvano giusto un paio di attori/ballerini. Uno interpreta praticamente solo un bruco, ma molto bene se non altro, e l’altro l’amico della sciantosa Sharpay con la chiara passione per Liza Minnelli e un talento innato per la danza (sono ancora molto invidiosa della sua spaccata).



L’attore è tale quando la recitazione risulta impalpabile, di norma non ci si dovrebbe accorgere che chi è sul palco recita una parte. Questo purtroppo non avviene con i protagonisti, dotati di voce anzichenò, ma Jacopo Sarno (Troy Bolton) ride di diaframma come il peggiore dei lord inglesi dell’ottocento tanto da farti storcere il naso, Denise Faro (Gabriella Montez) ha l’espressione di Bernadette per tutta la durata dello spettacolo con il leggero e urticante surplus della voce di Barbie principessa delle fate. O Barbie raperonzolo fate voi.

La chiave di volta però è il pubblico che si reca a questi spettacoli, il vero interesse antropologico di assistere ad una pomeridiana, anche se non ti convince, sta nell’osservare le persone che la affollano. Ogni bambino ha la sua moda passeggera personale, ognuno di noi ai suoi tempi aveva qualcosa per cui dimostrava un interesse spasmodico per un anno per poi disinteressarsene l’anno dopo. Ma questo fenomeno ha dato vita a bambine con spalle scoperte, minigonne, stivali e cinture, alcune madri con gonne a scacchi, tinte di due colori, tacchi 13. Come l’età dei loro figli a cui vorrebbero ancora assomigliare. Il dato sconfortante non è l’emulazione, ma il GENERE di emulazione. Quella che porta una bambina di cinque anni a sfoggiare la pancia, muovere il bacino come se ballasse la lambada e appoggiarsi sul fianco portando la manina alla vita, come le donne super truccate dei bassifondi di Los Angeles, che parlano con il dito spianato muovendo il busto. Cosa si sente dopo aver assistito al fenomeno di massa dell’anno? Terrore. Come dopo un film di Dario Argento dei vecchi tempi, davvero i modelli sono cambiati così tanto? E io che speravo nel ritorno della Carrà come ispirazione di classe e monumentalità...
La domanda del secolo, meglio le spalline o le bambine investite dagli ormoni a otto anni? Io la risposta la so.


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