Hamas e Israele sul filo del rasoio

par Fabio Della Pergola
sabato 11 novembre 2023

Nell'immediatezza del massacro del 7 ottobre, è apparso chiaro che l'intenzionalità strategica di Hamas era quella di coinvolgere Hezbollah, altre formazioni jihadiste, la popolazione della Cisgiordania e forse anche l'Iran (o comunque con il supporto logistico iraniano) in un attacco concentrico su Israele. Che avrebbe fatto molto piacere anche a Mosca per ovvi motivi (non è superfluo ricordare che l'Occidente potrebbe essere fortemente distratto dall'Ucraina nel caso di un conflitto generalizzato in Medio Oriente).

Un attacco da tre o quattro fronti diversi (Gaza, Libano, Siria, più i sommovimenti nella West Bank) avrebbe messo in seria difficoltà lo stato ebraico, saturando le difese antimissile e impegnando le forze di terra in aree molto difficili da affrontare. Dimostrandone così la vulnerabilità gli strateghi di Hamas (o di Teheran) confidavano probabilmente in una sollevazione popolare generalizzata contro tutti i governi arabi moderati colpevoli di "tradimento" della causa palestinese. Una strategia che, al primo impatto sembrava decisamente vincente: se Israele non avesse reagito alla strage del 7 ottobre, sarebbe apparso debole e impaurito e sarebbero aumentate le speranze di mandarlo in crisi progressivamente più grave con attacchi a ripetizione. Se avesse reagito, come poi ha fatto con la consueta determinazione (ma solo dopo aver avuto una garanzia di supporto americano), lo sdegno di tutti i popoli islamici e di buona parte dell'opinione pubblica mondiale, lo avrebbero isolato rendendolo incapace di difendersi da un attacco successivo coordinato.
 
Questa strategia win-win di Hamas sembrerebbe ormai fallita.
 
Hezbollah (e Teheran), spaventati dall'immediato intervento dello schieramento Usa, non ha fatto niente di più che tirare qualche razzo, la Cisgiordania non si è sollevata oltre la norma, le popolazioni dei paesi islamici sono scese in piazza a urlare e bruciare bandiere costringendo i loro governi a parole dure contro Israele, ma niente di più. Gli accordi di Abramo sono stati messi in un cassetto, e forse sarà una decisione transitoria. Salvo qualche caso (Londra, New York) anche le manifestazioni filopalestinesi in Occidente sono state meno partecipate che in altre occasioni.
 
Adesso - in particolare dopo il discorso evanescente di Nasrallah che ha fatto crollare le speranze di una discesa in campo di Hezbollah - Hamas è rimasta sola a subire la violenta reazione di Israele che sta progressivamente prendendo possesso della striscia di Gaza.
 
Molti sono giustamente impressionati e scandalizzati per le tante vittime civili (anche se i numeri li fornisce Hamas e sono anch'essi arma di propaganda, come nell'ormai noto caso dell'ospedale falsamente "bombardato" da Israele) e molti usano parole durissime contro la reazione "sproporzionata" di Israele, accusandolo di violazioni del diritto umanitario. Che sia vero o no lo decideranno i magistrati dell'Aia, non i commentatori sui social, ma è indiscutibile che la situazione sia drammatica.
 
Detto questo, c'è un unico modo, palese, per far finire velocemente il massacro di Gaza.
Che Hamas, per evitare ulteriori e inutili sofferenze al suo stesso popolo, deponga le armi e cessi le ostilità, si arrenda, liberi gli ostaggi e dichiari pubblicamente decaduto lo statuto in cui indica come suo obiettivo strategico la distruzione di Israele.
 
Questa è l'unica soluzione, al momento, ma nessuno di quelli che si scandalizzano per la reazione israeliana lo dice mai. Tanto meno quelli (gli Orsini, i Santoro, gli Ovadia, i Rovelli etc.) che nel caso dell'invasione russa erano in prima fila nel protestare contro il supporto militare allo stato invaso e a chiedere a gran voce che l'Ucraina si arrendesse "per il bene del suo stesso popolo".
 
Ma Hamas non lo farà, perché ha bisogno, lo hanno dichiarato pubblicamente alcuni dei suoi leader, del "sangue dei martiri". E quindi resisterà il più a lungo possibile sperando che Israele faccia molti morti e la smetta soprattutto di avvertire gli abitanti della striscia dell'imminenza di un bombardamento, come ha dimostrato un servizio della BBC, solitamente poco tenera con lo stato ebraico.
 
Solo resistendo potrà continuare a sperare nell'allargamento del conflitto. Può ancora accadere infatti che Hezbollah riceva da Teheran la luce verde per un intervento diretto, precipitando il già esausto paese dei cedri in una catastrofe inimmaginabile, quanto inimmaginabili sarebbero le conseguenze, principalmente per i palestinesi stessi, dell'allargamento di un conflitto devastante per l'intero Medio Oriente.
 

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