Ha stravinto Renzi

par Fabio Della Pergola
mercoledì 3 febbraio 2021

Alla fine l’Italia, volente o nolente si affida un’altra volta a un tecnico.

I giornali scriveranno tutti che è arrivata “l’ora di Draghi”, ma in realtà bisognerebbe titolare molto più semplicemente che “ha stravinto Renzi”.

La questione è semplice. Al di là delle tonnellate di fuffa che Italia Viva ha raccontato da un mese a questa parte (le ministre dimissionarie che si lamentavano di ricevere solo riassuntini invece che la versione intera del Recovery Plan e altre amenità del genere buone per pasturare la propria claque) il piano appariva ben delineato da tempo.

Renzi ha sponsorizzato la nascita del governo giallorosso appoggiando Giuseppe Conte e vincendo le titubanze del PD a guida Zingaretti (definito da Concita De Gregorio, forse non a torto, un sughero che galleggia). Raggiunto l’obiettivo del giuramento del governo che voleva, ha impiegato solo una dozzina di giorni per fare la sua brava scissione portandosi via un tot di parlamentari del PD e rastrellandone qualche altro a destra e sinistra. Stando bene attento a raggiungere quel numero magico che gli permetteva di avere, nonostante la sua irrilevanza nel paese, il potere di vita e di morte proprio sulla sua (e di Grillo) creatura.

Al momento ritenuto più opportuno (dopo che altri si erano spesi in Europa per farsi riconoscere il diritto ad avere la parte più grossa del tesoretto stanziato per far fronte all’emergenza sanitaria ed economica) ha tirato la corda e l’ha impiccata, quella sua creatura.

Poi ne ha gettato il cadavere sul tavolo dell’inutile giro di consultazioni di Fico.

Toni da tragedia shakespeariana adatti alla bisogna. O del carme manzoniano, perfetti invece per fotografare lo sguardo di sbigottimento dei maggiorenti piddini: ei fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro, eccetera. E tutti lì con il viso lungo, a chiedersi come sia stato possibile essersi fatti prendere per i fondelli così a lungo da uno noto per l'abitudine a prendere per i fondelli. Se le facessero due domande.

E mentre tutti (PD, LeU, M5S) lo accusavano di aver rotto le trattative inspiegabilmente, lui rovesciava l'accusa con un "sono stati loro!" che neanche all'asilo. Ma magari crogiolandosi all'idea di poter perfino ambire alla Presidenza della Repubblica fra un anno. Perché no? In fondo il suo agire politico da novello Napoleone non è quello dell'amicone che seduce e convince, ma quello del pugile che spinge nell'angolo l'avversario per suonarlo fino allo sfinimento. Potrebbe farcela, facendolo di nuovo.

Intanto i fan renziani hanno festeggiato stappando champagne alla notizia della convocazione di Draghi al Quirinale, brindando al “capolavoro” del loro Matteo, considerato il più abile politico italiano. Ma confondendo la politica, che è arte del governare (e del compromesso se si sta in una coalizione imposta dal voto popolare), con le manovre lucide, ciniche e anche un bel po’ subdole di una manica di furbetti. Si dirà che in fondo questo è quello che succede da sempre, nelle aule parlamentari delle democrazie occidentali, e in parte è vero.

Ma tutto sembra indicare che dover ricorrere a un tecnico per gestire un’emergenza nazionale di questa portata sia più simile alla fine della politica piuttosto che alla sua apoteosi. È la seconda volta che succede in meno di dieci anni. Se la democrazia italiana ci si abitua può darsi che un giorno ci si trovi come in Myanmar: in fondo anche i militari non sono altro che dei “tecnici”.

In ogni caso oggi si volta pagina.

Domani Draghi – personalità di assoluto rilievo – avrà l’incarico di fare il solito giro di consultazioni da un Mattarella inviperito da quello a cui ha dovuto assistere. E otterrà la fiducia con cui avviare l’ennesimo governo della Repubblica. Niente da dire sulla sua figura, è scontato.

Ma qualche domanda sui voti che dovrà avere in parlamento è lecito farsela.

Non avrà di sicuro quelli di Fratelli d’Italia, né probabilmente della Lega, troppo interessate ad andare subito al voto. Avrà di sicuro quelli entusiasti di Italia Viva, quelli del Partito Democratico – sempre “responsabile” per antonomasia, non avendo altre capacità – forse anche quelli di Forza Italia, rassicurata nel suo europeismo. Certamente quelli dei gruppi minori del centro, da +Europa al Maie alle Autonomie. Di tutto o parte del gruppo misto. Forse perfino di LeU (ma non è detto, un banchiere che ha lavorato anche in Goldman Sachs potrebbe essere indigesto da quelle parti).

Poi ci sono i Cinquestelle. Che potrebbero dare la fiducia per timore di un voto che li dimezzerebbe (se basta), ma che potrebbero anche riservare qualche sorpresa, in odio a un Renzi che irridendoli li ha letteralmente massacrati.

La domanda è: senza il voto dei Cinquestelle il governo Draghi può vedere la luce? E quanti potrebbero essere i grillini alluzzati dall'idea di avere un sussulto d'orgoglio e mandare il paese alle urne per togliersi lo sfizio di vedere Renzi passare dalle stelle del trionfo alle stalle della più totale irrilevanza politica? Forse non accadrà mai nulla di tutto ciò e il paese sarà salvato dal bravo tecnico.

Ma mai dire mai in una stagione politica di questa fatta. In fondo anche il perfido Riccardo III, che agguanta il trono fra mille inganni, sotterfugi e assassinii, alla fine crepa come un pirla a Bosworth Field.


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