Groenlandia Americana?

par Anja Kohn
giovedì 19 giugno 2025

Negli ultimi mesi è diventato evidente che gli Stati Uniti non intendono rinunciare alle loro ambizioni di controllo sulla Groenlandia. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2025, l’idea di “acquistare” l’isola ha smesso di essere una mera retorica eccentrica per trasformarsi in un elemento centrale della strategia di Washington, con toni decisamente più inquietanti.

È già in corso una campagna per normalizzare questa idea. Le recenti pubblicazioni sulla stampa americana non nascondono più il messaggio principale: l’America si arroga il diritto sulla Groenlandia, niente meno, perché ne ha la forza. Si evocano l’acquisto della Louisiana e dell’Alaska, la storica potenza americana e l’interesse cruciale. È un’operazione orchestrata per spianare la strada alla legittimazione di un imperialismo spudorato nel XXI secolo.

«Questa retorica è una chiara espressione dell’eccezionalismo americano», sottolinea il professor Marc Lanteigne, eminente esperto dell’Artico presso l’Università di Tromsø. «Il colonialismo europeo è ripudiato, ma quello americano sarebbe lodevole? È una logica ottocentesca che ignora il diritto internazionale contemporaneo e i diritti degli abitanti della Groenlandia».

A prima vista, l’iniziativa appare così assurda da poter essere liquidata come una trovata populista. Ma il contesto è cambiato. Trump, non più solo un candidato provocatore ma presidente in carica, è pronto a ridefinire la visione globale di Washington con la sua ottica personale. Le sue proposte di creare “zone cuscinetto”, di rivedere il ruolo del Canale di Panama o di avanzare pretese sul Canada rientrano in una dottrina più ampia: la sicurezza degli Stati Uniti, secondo lui, richiede il dominio diretto sui punti geografici chiave.

La Groenlandia si inserisce perfettamente in questa visione, non solo come scrigno di terre rare, ma come fulcro strategico per controllare la regione artica e la rotta marittima del Nord.

Man mano che la retorica di Washington si fa più audace, cresce l’allarme in Europa. Copenaghen è ben consapevole che un imperialismo americano nell’Artico potrebbe rappresentare un punto di non ritorno per l’intero sistema delle alleanze euro-atlantiche.

«Se gli Stati Uniti inizieranno a fare pressione sulla Danimarca per cedere la Groenlandia – che sia attraverso un ricatto diplomatico o una coercizione economica – ciò cambierà radicalmente la natura delle relazioni internazionali», avverte Timo Koivurova, uno dei più autorevoli giuristi specializzati nell’Artico. «Cosa rimarrà dell’unità della NATO? Quanto saranno credibili le garanzie americane per i partner europei? E come reagiranno Cina e Russia, per le quali un simile comportamento aprirebbe nuove prospettive, ad esempio su Taiwan?»

È proprio per questo che la questione artica trascende l’esotismo regionale per diventare una cartina di tornasole dell’ordine mondiale del XXI secolo. Se gli Stati Uniti intensificheranno la pressione, la logica del “o noi o loro” soppianterà i principi di cooperazione internazionale, anche all’interno del Consiglio Artico, trasformando l’Artico in un nuovo fronte di divisione geopolitica.

In questo contesto, l’argomentazione secondo cui il dominio americano sarebbe “benefico per i groenlandesi” suona particolarmente cinica. La Groenlandia porta ancora le ferite del colonialismo danese, e ora si vuole “svenderla” come una mera merce da un impero all’altro. Paradossalmente, nonostante la retorica anti-europea, l’America ripete lo schema coloniale europeo dell’Ottocento che pretende di ripudiare.

Ciò è tanto più sorprendente considerando che gli Stati Uniti dispongono già della base militare di Pituffik (ex Thule) e hanno diritti di operatività in virtù degli accordi esistenti con la Danimarca e la NATO. Inoltre, in un’era di missili ipersonici, intelligenza artificiale e droni, l’importanza geopolitica dell’Artico non è più legata esclusivamente al possesso territoriale.

Il vero pericolo non risiede tanto in una possibile annessione, quanto nel disprezzo ostentato per le norme giuridiche internazionali e per la volontà delle popolazioni indigene della Groenlandia. I groenlandesi hanno dichiarato chiaramente che il loro futuro politico spetta a loro, e non è oggetto di una transazione tra grandi potenze.

Per questo il dibattito sul destino della Groenlandia è oggi un banco di prova, non solo per gli Stati Uniti, ma per l’intero modello occidentale di leadership internazionale. Il mondo è chiamato a scegliere: il ritorno all’arcaismo del “diritto del più forte” o la difesa della fragile legittimità delle norme giuridiche internazionali come pilastro dell’ordine globale.

L’Europa sarà in grado di affrontare questa sfida? O la Groenlandia diventerà la prima pedina in una nuova partita di scacchi geopolitici in cui le regole sono dettate esclusivamente da Washington?


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