Grecia: storia di un declino

par Libero Mercato
martedì 14 febbraio 2012

Correva l'anno 2004 e la Grecia era ancora considerata il paese "rivelazione" dell'Unione Europea, sull'onda dei giochi olimpici di Atene. Nel 2006 il Pil cresceva del 5,6% e persino nel 2007 si registrava un + 4,28%. Poi l'improvviso salto nel buio. Nel 2009 la prima discesa sotto zero (-2,04%), mentre il 2010 termina con un - 4,47%. L'ultimo anno si è appena concluso con -6% e le previsioni per il 2012 si attestano sul -3%.

Dall'inizio della crisi la Grecia ha bruciato circa 65 miliardi, su un Pil totale che si aggira sotto i 300. Quali sono le cause del tracollo? Inanzitutto un sistema industriale debole, aggrappato in gran parte alla mano pubblica. Un export quasi irrilevante, a parte lo yogurt prodotto dalla Fage (che registra i principali volumi di mercato negli Stati Uniti) una delle più grosse aziende alimentari del paese. 
Il turismo da solo non basta, soprattutto se stagionale. C'è inoltre un parassita devastante per le casse dello Stato: l'evasione fiscale, che in Grecia supera i 30 miliardi di euro, quasi l'equivalente delle entrate regolari (40 miliardi). Il tasso di disoccupazione ufficiale è il 20%, che raggiunge il 50% se si considera quella giovanile. 

La prima tranche di aiuti dell'Unione Europea arriva nel maggio 2010: 110 miliardi spalmabili in 3 anni. In cambio viene chiesto al primo ministro socialista Papandreu un corposo taglio della spesa pubblica e un ambizioso piano di privatizzazioni, con la promessa di incassare 50 miliardi entro il 2015 (termine prorogato al 2017). 

La prima manovra fu di 6,5 miliardi, mentre sulle strade si agitavano le manifestazioni di piazza contro le "svendite di Stato". Proteste inutili perchè di fatto quasi nessun investitore straniero si è fatto avanti. Il "sistema Grecia" non si vende bene, e le privatizzazioni fino al momento si fermano a circa 1,5 miliardi di entrate, troppo poco. 
 
Dopo le dimissioni di Papandreu, che dichiarò il dissesto del bilancio, prende le redini in mano Lucas Papedomos, ex vice-presidente della Bce, che negozia una specie di concordato con le banche straniere creditrici (francesi e tedesche in primis) puntando alla cancellazione del 70% del valore dei titoli da rimborsare. Una ventata d'aria fresca per le casse dello Stato, che vedrebbe ridurre di 100 miliardi lo stock del debito, comunque altissimo (250 miliardi, il 120% del prodotto interno lordo, oggi al 160%, ndr). L'accordo deve essere ancora raggiunto. 
 
L'altro aspetto debole dell'economia greca è il deficit: negli ultimi due anni tra il 9,5 e il 10% rispetto al Pil. Dal 2010 sono state 5 le manovre economiche per salvare la Grecia dal default. L'ultima è di 40 miliardi e offre un menù di tagli imponenti: a parte l'innalzamento dell'età di pensionamento delle donne a 65 anni (una misura di buon senso), vengono ridimensionati gli assegni di anzianità e cancellati quelli di reversebilità, con le rendite indicizzate all'andamento del Pil. 

Nel settore pubblico interventi ancora più duri: tagli drastici a tredicesime e quattordicesime, stipendi congelati o ridotti, messa in mobilità di 30.000 dipendenti statali. In Grecia i dipendenti pubblici sono un esercito di 750 mila persone, su una popolazione di appena 11 milioni. Entro il 2015 andranno a casa in 150.000, mentre da subito arriva la decurtazione del salario minimo dai 750 euro lordi a 580 (circa 400 euro netti). 
 
Infine, tagli di 1,1 miliardi nella spesa dei farmaci e l'introduzione di una tassazione sugli immobili, dalla quale l'esecutivo intende recuperare 2,5 miliardi di euro. La situazione è disperata ma non si vede via di uscita, se non il default progressivo e pilotato del paese. Ma siamo sicuri che il popolo greco voglia rinunciare all'euro e condannarsi ad un futuro ancora più incerto? 


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