Governo delle larghe attese pure fraintese

par Phastidio
giovedì 13 giugno 2013

Mancano diciotto giorni all’aumento dell’aliquota Iva ordinaria, dal 21 al 22 per cento. Servirebbero due miliardi per il 2013 e pare non si trovino, destino cinico e baro. In parallelo scopriamo che, in Italia, grande coalizione fa rima con grande confusione, ed amplifica la nostra già patologica tendenza a non essere una democrazia ma unadichiarazia.

In questa attività spicca ormai il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che sta progressivamente entrando in un tragicomico loop di annunci e smentite su se stesso. Ieri, nel question time alla Camera, Giovannini ha comunicato che

«È intenzione dell’esecutivo affrontare dopo l’estate ogni eventuale intervento per affrontare le problematiche in ordine agli effetti recati dalla riforma pensionistica (…) Il Governo intende adottare a breve termine misure per favorire l’occupazione e per restituire gradualità alla riforma previdenziale»

È bastata quella frasetta (“restituire gradualità alla riforma previdenziale”), per fare alzare antenne e sopraccigli in giro per l’Europa. E così come se ne è accorto un oscuro ed inutile blogger, così se ne sono accorti i tedeschi della Frankfurter Allgemeine Zeitung, che hanno subito lanciato l’allarme, ipotizzando una riduzione dell’età pensionabile a 62 anni, non è chiaro prendendo da dove il numero. Immediata la reazione del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, che ha preso Giovannini per un orecchio e lo ha costretto a controfirmare una bella dichiarazione serale congiunta, in cui i due

«(…) smentiscono fermamente che il governo stia valutando l’ipotesi di abbassare a 62 anni l’età del pensionamento, con ciò stravolgendo la riforma pensionistica adottata dall’Italia nel 2011»

Certo, se Giovannini non si fosse lasciato scappare l’ennesimo “appuntamento col destino” a dopo l’estate e la pentola d’oro in fondo all’arcobaleno, questa precisazione non ci sarebbe neppure stata, ma tant’è. In precedenza, Giovannini aveva preannunciato che il governo intende modificare la riforma Fornero, eliminando le pause tra un contratto a tempo determinato e l’altro, in pratica certificando il precariato per i soliti noti:

«Stiamo pensando di ridurre a zero la pausa tra un contratto di lavoro e l’altro, per i più giovani. La riforma del lavoro è del 2012, fatta per evitare lo sfruttamento in un periodo di incertezza, ma ora un imprenditore deve capire se la ripresa è vera, prima di investire»

Una frase davvero mirabile. Dunque, nel 2012 avevamo “incertezza”, quindi occorreva combattere lo “sfruttamento”. Invece, nel 2013, gli imprenditori devono “capire se la ripresa è vera, prima di assumere”. Che detta così sembra la definizione di incertezza, non trovate? Ma provare a collegare il cervello alla bocca, prima di articolare un pensiero? O chiudersi in un dignitoso silenzio? No, eh?

E comunque state allegri, o “giovani”, il governo pensa a voi: pare che nell’imminente “decreto del fare” (versione linguisticamente adattata ma nel solco della tradizione dei vari “Salva Italia” e “Cresci, Italia”) saranno previste forme di “defiscalizzazione e decontribuzione” per favorire le nuove assunzioni. Perché infatti pare che le nuove assunzioni abbiano un costo, esattamente quello di defiscalizzazione e decontribuzione. È utile che ora qualcuno lo spieghi a Capezzone, che continua da qualche mese a proclamare che si tratta di misure a costo zero, mentre a zero sta solo la sua capacità di comprendere la realtà. Ma anche in ipotesi di faticoso arrivo di queste misure di agevolazione fiscale e parafiscale nulla cambierà, perché le imprese che non hanno domanda per i propri prodotti semplicemente non assumono. Così difficile da capire? In subordine, avremo sostituzione di lavoratori anziani e costosi con altri “giovani” e fiscalmente incentivati, magari a tempo determinato con la riforma della riforma Fornero.

Perché in fondo al cammino c’è uno ed un solo esito: la riduzione del costo del lavoro, non attraverso interventi razionali sul cuneo fiscale ma con tagli selvaggi alle retribuzioni nominali e la dismissione del sistema di contrattazione collettiva. Ve lo diciamo da così tanto che abbiamo la nausea a ripeterlo.

Due parole sul tormentone Iva. In primo luogo, visto che gira questa interpretazione, l’aumento non avviene per il perseguimento di una strategia di “svalutazione fiscale”. Perché svalutazione fiscale è quando si aumenta l’Iva (di almeno un paio di punti percentuali) utilizzando il maggiore gettito per ridurre il costo del lavoro. Vi pare che in Italia stia accadendo qualcosa del genere? Poi vi segnaliamo l’ultima trovata in ordine di tempo per scongiurare l’aumento del primo luglio. È stata partorita da ambienti del Pd, segnatamente dal vice ministro dell’Economia, Stefano Fassina, ma pare condivisa anche dal capogruppo Pdl alla Camera, il vulcanico Renato Brunetta. Dunque, funziona così: si aumenta l’importo dei rimborsi della pubblica amministrazione alle imprese di una quindicina di miliardi, in aggiunta a quanto già previsto. In tal modo, con la liquidità aggiuntiva, le imprese ed i fornitori pagano l’Iva sulle fatture saldate, e con una quindicina di miliardi in più uscirebbero proprio un paio di miliardi di Iva aggiuntiva. Geniale, no? Abbiamo inventato il moto perpetuo.

Ecco quello che significa essere un paese in crisi fiscale conclamata e ben oltre il ciglio della disperazione.


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