Governo | Salvini, Mattarella e il pollo

par Fabio Della Pergola
martedì 29 maggio 2018

Alla fine la questione è più semplice di quello che appare.

Inutile entrare nel merito se il Presidente Mattarella aveva o non aveva il diritto di “stoppare” la proposta di Paolo Savona a ministro dell’economia. Secondo me sì e tanto mi basta.

Poi lascio volentieri alle tante discussioni in punta di fioretto fra costituzionalisti veri o improvvisati (magari ricordando anche che Mattarella non è l’ultimo arrivato a proposito di diritto costituzionale).

Ma intanto non ci si venga a raccontare che il “popolo” è infuriato perché voleva proprio quel ministro: nessuno stava gridando nelle piazze “o Savona o morte!”. Non fosse altro perché - a parte ristretti circoli economico-politici - nessuno sapeva chi diavolo fosse quell'uomo.

Gli elettori di parte giallo-verde si sono imbestialiti perché Mattarella avrebbe “impedito al governo del cambiamento di iniziare a lavorare”. Il che è una bella, grassa e grossa bufala.

È ovvio che il “governo del cambiamento” sarebbe partito (con un altro tizio qualsiasi al posto di Savona, sembra che Mattarella abbia fatto capire che anche il leghista Giorgetti sarebbe stato accettato) se solo i due capipopolo alleati lo avessero voluto. Ma non lo hanno voluto.

Il che obbliga non solo a farsi qualche domanda sul perché rinunciare - per un nome! - a quello che era in tutti i sensi l'obiettivo primario di entrambi, ma anche a completare il quadro già tratteggiato a grandi linee valutando l’insieme delle proposte e delle promesse elettorali.

I due partiti alleati - tra flat tax, abolizione della Fornero e del Jobs Act, ripristino dell’articolo 18, blocco dell’aumento dell’IVA, reddito di cittadinanza e altre amenità del genere - avevano collezionato una serie di proposte insostenibili senza indicare alcuna copertura credibile.

Al dunque quindi quello che avevano in mente come ipotesi di copertura ci è stata rivelata qualche giorno fa.

Savona stesso avrebbe confidato il piano: «portare lo spread italiano a quota 600 in modo che l’Europa capisca che si fa sul serio e si cambino i vincoli». Si tratta, per chiarire, di un retroscena che «non è stato né confermato né smentito dallo stesso Savona».

In altri termini era previsto che tutte le coperture alle roboanti promesse elettorali - intendiamoci, alcune delle quali indispensabili per alleviare la situazione economica dei molti in sofferenza - sarebbero state create ex novo con l’ennesimo aumento del debito, “facendo sul serio” con l’Europa. Forse immaginando di "spezzare le reni" a Bruxelles.

Questo era il piano A e a questa estemporanea soluzione si sarebbe opposto Mattarella con il suo non gradimento (finalizzato ovviamente - davvero ci si stupisce di questo?! - a salvaguardare i conti dello Stato).

E qui sarebbe scattato il piano B: tornare al voto.

Piano palesemente orchestrato e pianificato a tavolino da Salvini, cui si deve l'irrigidimento incomprensibile sul nome che ha fatto volutamente collassare l'ipotesi di governo a un tiro di sasso dalla méta.

Mentre Di Maio sembra che sia caduto nella trappola dell’alleato come un pollo, se è vero che, quando finalmente ha aperto gli occhi, si è lasciato sfuggire - come titola La Stampa - “Salvini ci ha usato per tornare al voto”.

Ancora più chiaro il giovane Casaleggio: «Salvini ci ha usato per i suoi fini».

Visti gli ultimi sondaggi - Lega in crescita di quasi 7,5 punti rispetto al voto e M5S in calo di 3,5 punti (Noto Sondaggi per Rai3) - l’ipotesi sembra molto più che credibile.

Poveri ragazzi: con il 32% dei voti messi nel sacco da uno con un misero 17. Per evitare la figura barbina meglio accodarsi subito al vincitore e pretendere nientemeno che l'impeachment di Mattarella. Come la Meloni che non ha altra prospettiva politica che mettersi a urlare anche lei.

Sia Salvini che Di Maio sono stati sodali nell’aver usato le più velleitarie promesse elettorali - vere e proprie esche per sprovveduti - per vincere le elezioni e poi andare allo scontro con l’Europa in nome del diritto di un paese “sovrano” di coprire il proprio fabbisogno indebitandosi senza limiti e a tempo indeterminato.

Peccato che già con il debito attuale, 2200 miliardi di euro, “sovranità” è un termine a dir poco astratto.

Così ci si avvia alla prossima campagna elettorale che, come sintetizza efficacemente Linkiesta «sarà una sfida al calor bianco tra chi vuole riaffermare qui e ora la piena sovranità dell’Italia, anche a costo di saltare per aria, e chi ritiene che questa sovranità la si riconquisti giorno dopo giorno, attraverso la progressiva riduzione della dipendenza dai soldi altrui, anche a costo di sacrifici e scelte dolorose».

Quella che ci viene prospettata nella prossima tornata elettorale è una specie di roulette russa in cui la destra sovranista e nazionalista, tirandosi dietro i balbettanti e inesperti polli di Grillo, si giocherà il tutto per tutto, “anche a costo di saltare per aria”.

O meglio farà giocare a tutti noi il tutto per tutto. A settembre finirà la copertura della BCE sui titoli di stato italiani e, proprio nel bel mezzo della più devastante campagna elettorale immaginabile, il Paese si troverà senza parafulmini

Dopodiché, come sempre accade in frangenti simili, i ricchi, i forti, gli amici degli amici, i furbi e gli svelti cascheranno in piedi mentre tanti poveri pirla ci lasceranno le penne.

E fine dell'avventura.


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