"Gli uomini della mia scorta, non sono mai stati dei fannulloni"

par LIBERALVOX SocialNetwork
venerdì 26 giugno 2009

Vivo da venticinque anni con la scorta. Da allora sono infatti nel mirino di Brigate Rosse e affini. Me ne sono fatto una ragione, anche se non riesco ad accettare come un fatto normale che in questo Paese un professore di economia del lavoro debba temere per la propria vita solo perché esprime le sue idee sul sindacato, sul mercato del lavoro così come su produttività, efficienza e meritocrazia. Mi è andata anche bene, parecchi miei colleghi e amici ci hanno invece lasciato la pelle. Da Ezio Tarantelli a Massimo D’Antona, fino a Marco Biagi. Per citare solo gli amici più vicini e più simili a me per attività professionale, storia accademica, se non proprio storia politica.

Ma non è su questo che voglio soffermarmi. Voglio invece scrivere di quanti mi fanno da scorta, dei tanti giovani che in questi venticinque anni si sono alternati a difesa della mia libertà e della mia vita. A loro devo un grazie sincero, che viene dal cuore. Sono stati tutti bravi, professionali, simpatici. Mi hanno sopportato in mille occasioni nelle quali, lo riconosco, lo stress ha spesso prevalso sulla gentilezza e sulla buona educazione. E di questo chiedo loro scusa. Sono diventati un pezzo importante della mia vita, della mia famiglia. Con loro ho condiviso tutto: dai viaggi alle cene, dalle passeggiate alle visite ai musei, alle campagne elettorali. Spesso, anche le lezioni all’Università. E ancora ricordo i loro occhi che strabuzzavano quando capitava che, spiegando ai miei studenti un qualche paradigma economico, indugiassi su difficilissimi passaggi di matematica.


Terminata la lezione, mi dicevano: “Sa, questa volta non abbiamo proprio capito…”. E allora, durante i successivi spostamenti in macchina, cercavo di spiegare loro - magari con strumenti analitici più semplici - i concetti base dell’economia del lavoro. Nei primi tempi a farmi da scorta sono stati gli agenti di polizia: bravi, bravissimi. Da sette, otto anni vengo invece protetto dall’arma dei carabinieri: bravissimi anche loro. Non ho mai notato particolari differenze nella professionalità degli appartenenti ai due corpi, dei quali posso dire solo un gran bene (e già sorrido pensando alla loro storica rivalità e a come storceranno la bocca leggendo questo mio attestato di stima bipartisan…). Ricordo con affetto Carlo, Mario, Francesco, Carmelo e i tanti altri che si sono avvicendati in questi lunghi venticinque anni. Così come mi rassicurano adesso i volti di Andrea, Franco, Luca e Dante. E mi conforta sapere che questi uomini valorosi, spesso del Sud, hanno tutti trovato una collocazione professionale adeguata alle loro aspirazioni e attitudini.

Ripeto: a loro devo soprattutto la mia libertà, non solo la mia vita. Devo in gran parte a loro se in tutti questi anni sono stato libero di dire quello che volevo, di esprimere le mie opinioni, di contribuire alla vita culturale, scientifica e politica del mio Paese. Grazie. Una parola che purtroppo altri non possono pronunciare perché ammazzati da mani vili e feroci. Gratitudine e amarezza, quindi. Sorriso e dolore.
 

di Renato Brunetta

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