Gli eredi del Pci

par Antonio Moscato
lunedì 22 luglio 2013

Ho spesso sottolineato la continuità di Napolitano e dei suoi amici con la sciagurata corrente “migliorista” che pilotò l’abbandono della tradizione nominalmente comunista e l’approdo alla socialdemocrazia e al liberismo, ma in realtà gli eredi sono tanti.

Non alludo a quelli che ridicolmente ogni tanto si inventano un “nuovo PCI”, ovviamente senza poter evitare di mitizzare un passato spesso tutt’altro che glorioso e rispettabile. Parlo di eredi veri, come Piero Fassino, che ostenta spesso la sua esperienza fondante, quella del sabotaggio alla straordinaria resistenza della FIAT nel 1980, a cui nel 1998 ha dedicato anche la sua tardiva tesi di laurea, in cui ha bacchettato Enrico Berlinguer per le sue “ambiguità”, cioè per aver fatto credere agli operai di essere disposto a sostenere una eventuale occupazione degli stabilimenti, mentre non ne aveva nessuna intenzione. Fassino rivendica quell’esperienza, che seguì come responsabile fabbriche dell’allora forte federazione del PCI di Torino.

Ma in realtà la maggior parte degli eredi, più o meno inconsapevoli, del PCI stanno fuori del PD. Stanno in SEL e nel M5S. In SEL è più evidente ed è logico: l’area più moderata e inconsistente del PRC aveva sempre evitato di fare i conti con la storia del partito comunista, anche se non vi era passata (l’area ex DP era la più opportunista nel PRC, attentissima soprattutto alle spartizioni di incarichi, e pronta per questo a discutibili alleanze).

Ma mi pare più utile fare alcune considerazioni sul M5S e sulle contraddizioni emerse nella sua recente esperienza parlamentare: prima di tutto, e l’ho già osservato più volte, i “grillini” hanno finito per fare a volte gesti propagandistici di stile “girotondino”, che stuzzicano e molestano l’infame ceto politico che dirige il PD, ma non puntano a scalzarne la residua influenza in alcuni settori di lavoratori denunciando sistematicamente la sua incapacità di fronteggiare la crisi che riduce occupazione, salari reali e pensioni, di cui d’altra parte è più che corresponsabile. In sostanza ripercorrono la strada di quella fragile ed effimera contestazione esterna che non ha lasciato molte tracce.

Ovviamente ribadisco che non ha nessun fondamento lo stupido ritornello dei galoppini del PD, che hanno insistito anche recentemente su una presunta matrice di destra del M5S, che odiano soprattutto perché li incalza sulle questioni morali e sulle connivenze con Berlusconi e soci. In questi mesi le sbavature di destra presenti a volte nel “leader massimo” e nel suo socio Casaleggio sono sfumate, sotto la pressione dei fatti e di un gruppo parlamentare che ha cominciato pur nella sua sostanziale impreparazione a guardare più in là delle denunce. Ma questo non vuol dire che il loro lavoro, ancorché indubbiamente “di sinistra” (e lo è anche nel senso comune, e nella percezione del centrodestra, che teme particolarmente una convergenza dei “grillini” col PD), sia incisivo ed efficace.

Mi fa piacere comunque che così facendo hanno sospinto SEL, nato come ruota di scorta del PD (ed è una macchia indelebile, anche se lo spostamento a destra del PD l’ha costretto a fare una mezza opposizione, su posizioni almeno verbalmente più radicali) a concordare col M5S iniziative comuni, invece di continuare a litigare come nelle prime settimane sugli incarichi di presidente o vicepresidente di commissione, sostanzialmente inutili ai fini della costruzione di un’alternativa, anche se allettanti.

Ma anche se così hanno messo a segno alcuni successi (un’allargamento relativo della piccola opposizione su temi come gli F35 o le TAV) hanno poi insieme ricalcato inconsapevolmente le orme del PCI su una sceneggiata di finta opposizione. È vero che ora il PD è incapace di fare persino la sceneggiata, e sotto la guida ferma di Napolitano sprofonda nella melma dell’alleanza ad ogni costo con una destra spudoratamente ricattatrice.

Ma non è una buona ragione per tentare il giochino in cui il PCI fingeva di fare opposizione mentre si accordava sotto banco.

Alludo alla scelta della sfiducia selettiva e personale ad Alfano. Naturalmente questo voto può essere utile per sottolineare fino a che punto è arrivata la vergognosa capitolazione del PD, ma c'è poco da essere soddisfatti... Alfano è un incompetente presuntuoso, ma forse sarebbe meglio avere agli Interni una vecchia volpe cinica come Schifani? E come sorvolare sulle responsabilità collettive del governo, e su quelle personali di Letta, Bonino, Cancellieri?

Mattia Feltri su “La Stampa” ha fatto una panoramica delle decine di volte in cui è stata tentata la “sfiducia individuale”, sottolineando che solo una volta – nel lontano 1995 - è riuscita a cacciare un ministro, Filippo Mancuso, che dal dicastero della Giustizia aveva stuzzicato con estrema rissosità un po’ tutti: il presidente del Consiglio Lamberto Dini, quello della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, e l’intero PDS che di quel governo delle larghe intese era il principale azionista. Quindi a Feltri, che è giornalista borghese e per vari aspetti reazionario, preme sottolineare solo l’inefficacia della proposta, che fallì quando fu tentata nei confronti di Andreotti, ministro degli Esteri del governo Craxi nel 1984, e arrivò a quella penosissima tentata nel 2010 contro Bondi per i crolli di Pompei, passando per decine di casi analoghi (tra i bersagli Scaiola, la Fornero, Lunardi e alcune decine di altri ministri, incluso Napolitano quando era agli Interni). Il che conferma che il metodo non era esclusiva del solo PCI, ma ciò non cambia molto: anche altri partiti, di centro o di destra, non rinunciavano a questo modo economico di “fare ammuina”…

È questo che sfugge completamente a Feltri: lo scopo era raggiunto sempre, dato che non era quello di allontanare davvero un nemico insidioso, ma quello di tranquillizzare la propria base, facendo vedere la propria determinazione. È un vizio ben più antico. Quando nella base del PCI cominciarono a crescere i dubbi, e anzi l’indignazione, per la politica antioperaia dei governi di unità nazionale, la polemica del PCI si concentrò su un singolo ministro, Epicarmo Corbino, titolare del dicastero del Tesoro nei primi due governi De Gasperi, che fu presentato come principale responsabile di tutti i mali, e perfino impiccato in effigie durante le manifestazioni di piazza. Corbino fini per dimettersi spontaneamente nel settembre 1946. La politica di austerità e antioperaia continuò indisturbata fino alla cacciata di comunisti e socialisti dal governo e ovviamente anche dopo…

Paradossalmente Epicarmo Corbino nel 1953 divenne un prezioso alleato del PCI, partecipando con una piccola formazione (ADN, Alleanza Democratica Nazionale) alla battaglia che fece fallire la “Legge Truffa”.

Il metodo di scegliere un bersaglio particolare fu usato più volte e fu ripreso anche dalla maggior parte dei gruppi dell’estrema sinistra: ad esempio per un certo periodo venne presentato come il pericolo maggiore per la democrazia italiana il leader democristiano Amintore Fanfani, per il quale fu coniato dal Manifesto (ripreso da Lotta Continua e molti altri) il termine di “fanfascismo”. Col risultato che le sue ambizioni furono frustrate ma al suo posto andò alla presidenza della Repubblica Giovanni Leone, che non era certo meglio.

In definitiva concentrare su un uomo tutto il peggio di un governo o di una coalizione, funziona benissimo per simulare un’opposizione dura. Naturalmente nel PCI, che dal 1944 si trovava a dover gestire una base molto combattiva, ma con una cultura politica scarsa dopo vent’anni di monopolio fascista, questo metodo era deliberato e cinico, e nascondeva le esigenze dell’URSS, mentre nelle formazioni della “nuova sinistra”, nate successivamente, era solo la conseguenza di una lunga militanza nel vertice del partito comunista di alcuni dei suoi leader (soprattutto del Manifesto) incapaci di riesaminare le loro stesse esperienze precedenti (esemplare l’atteggiamento della Rossanda o di Lucio Magri), mentre per altri delle generazioni successive pesava l’incapacità di spiegarsi (in termini diversi dalla rozza accusa di “tradimento”) le ragioni interne e soprattutto internazionali dell’involuzione di quello che alle sue lontane origini e sotto la dittatura fascista era stato un vero partito comunista (1). Solo così sarebbe stato possibile coglierne le contraddizioni e tentare una tattica verso di esso.

 

(1). Sul PCI dei primi anni della Repubblica, rinvio allo scritto su il PCI al governo e a quelli contenuti nella stessa sezione del sito L'involuzione staliniana dell'URSS e l'Italia, in I grandi nodi del Novecento.Su Fassino si veda Fassino si confessa.

 

Foto logo: Wikimedia


Leggi l'articolo completo e i commenti