Gli attacchi reazionari al decreto "svuotacarceri"

par l’incarcerato
lunedì 13 gennaio 2014

Qualche giorno fa, Grillo, ha ospitato nel suo blog un articolo del giornalista Nicola Biondo contro il decreto chiamato, a torto, “svuota carceri”. Lo ha definito un “indulto mascherato”, un decreto che farebbe uscire i delinquenti, mafiosi, stupratori e assassini, un decreto che potrebbe indurre a pensare, parole sue, che “quasi quasi farsi arrestare conviene”.

Insomma un articolo che ha un lessico appartenente alle forze conservatrici le quali speculano sulla paura e l’ignoranza della maggior parte delle persone sul tema delicato delle carceri. La paura, quella sensazione di incertezza che affligge la nostra epoca post moderna, globalizzata e piena di diseguaglianze sociali. Nonostante viviamo nel mondo occidentale ove senza dubbio la società è più sicura rispetto ai Paesi in via di sviluppo, noi siamo perennemente bombardati da messaggi che incitano all’incolumità individuale, in un mondo sempre più incerto e imprevedibile e dunque potenzialmente pericoloso: abbiamo in questo modo la percezione dell’insicurezza.

I professionisti della paura hanno la capacità di far leva su questo per poter inculcare alla gente l’idea che non esiste la “certezza della pena”. Luogo comune che prima veniva incoraggiato dalle destre, ed ora anche da coloro che si reputano “progressisti”. Abbiamo l’esempio dell’arcigno e reazionario Travaglio che utilizza la strategia del terrore (dire, come fa lui, che fare leggi che limitino la custodia cautelare rende più pericolosa la società è creare “terrore” tra le persone) per aizzare le persone contro qualsiasi flebile riforma che verta a rendere civile il nostro martoriato e inguaribile Paese. Uno come lui sarebbe stato un ottimo consulente della Thatcher o di Cossiga durante le emanazioni delle leggi emergenziali contro i disordini e il terrorismo.

Ma ritorniamo all’articolo allarmistico di Nicola Biondo (ora responsabile alla comunicazione del Movimento 5 Stelle). In pratica asserisce che sia scandalosa la “liberazione anticipata” perché libererebbe pericolosi criminali: non è vero perché innanzitutto non c’è nessun automatismo visto che sarà sempre a discrezione del Magistrato di Sorveglianza. Inoltre questa concessione risulterà difficile per chi ha commesso alcuni reati di grave identità, e infatti il decreto recita così: “Ai condannati per taluno dei delitti previsti dall’articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 la liberazione anticipata può essere concessa nella misura di settantacinque giorni, a norma dei commi precedenti, soltanto nel caso in cui abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità”.

Tengo a precisare che il sottoscritto è molto critico rispetto a questa concessione in cambio del “buon comportamento” dei detenuti. Una mia critica che è agli antipodi della visione giustizialista e legalitaria: la ritengo un’arma a doppio taglio visto che il detenuto che protesta contro il degrado e le vessazioni sarà penalizzato, e se vorrà godere dei benefici (la legge Gozzini) dovrà stare mansueto. Un modo di controllo sociale della popolazione carceraria, quella concezione di ordine che fa parte dell’etica, sempre più fascista, dello Stato: dividere gli esseri umani in «desiderabili» e «indesiderabili».

Il giornalista Nicola Biondo in sostanza non dà nessuna informazione sul decreto “svuotacarceri”, ma subdolamente fa disinformazione mischiando elementi veri con quelli falsi. Accenna ai braccialetti elettronici dicendo una cosa vera: c’è un enorme business con la Telecom, l’azienda produttrice. Però non spiega le cose come stavano, e quindi si prende il lusso di criticare il decreto che punta al loro utilizzo. Ma spieghiamo meglio, magari partendo dall’origine. ll business dei braccialetti nasce nel 2001 da un accordo di due illustri membri dell’allora governo Amato: l’ex ministro dell’Interno, Enzo Bianco, e l’ex Guardasigilli, Piero Fassino, oggi sindaco di Torino. Ma dei ben 400 dispositivi elettronici che il Viminale ha noleggiato dalla Telecom, solo 11 sono stati utilizzati: in poche parole, per una decina di braccialetti utilizzati si impone una spesa pubblica di circa 11 milioni di euro all’anno per un affare complessivo da 110 milioni di euro. Uno spreco abnorme. Quindi ben venga che con il decreto si punti ad utilizzare i braccialetti elettronici per gli arresti domiciliari, salvo che il Giudice non lo ritenga necessario (Art.1).

L’articolo di Nicola Biondo è privo di raziocinio, è solamente un’ espressione di livore e rigurgito che assomiglia a quello di un tipico leghista. Forse molte persone confondono lo “Stato di Diritto” con lo “Stato delle manette”. Sciascia lo disse tanti anni fa: “Se al simbolo della giustizia – osservava da autentico veggente – si sostituisse quello delle manette, saremmo perduti irrimediabilmente, come nemmeno il fascismo è riuscito. E si parla tanto di manette, oggi, tante se ne vedono sui giornali o sui teleschermi: oggetti che magari saranno necessari ma ciò non toglie che siano sgradevoli a vedersi e quando simbolicamente agitate sono ripugnanti”.

PS: per chi volesse documentarsi meglio ed esercitare la propria coscienza critica vi invito a leggere il testo del decreto.

 

Articolo pubblicato su "Gli Altri"

Foto: Joseph Kranak/Flickr


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