Giunta Raggi al collasso: l’arresto di Marra porta a elezioni politiche?

par Fabio Della Pergola
sabato 17 dicembre 2016

Congresso, primarie e poi elezioni.

Questo era il percorso, piuttosto lento, immaginato dal Partito Democratico dopo la sconfitta referendaria e l'abbandono (di facciata) di Matteo Renzi.

 

Ma tutto questo era ieri.

Poi stamattina ci si accorge che la realtà ha prodotto una brusca virata di 180 gradi. E che, con l’arresto di Raffaele Marra la sindaca Virginia Raggi ha preso uno scossone tale da mettere in seria discussione la capacità della sua giunta di resistere all’urto.

Prima di tutto per non aver voluto prendere le distanze da un signore già ampiamente compromesso con l’ex sindaco Alemanno (alla faccia del nuovo e del “tutti a casa”).

E poi perché Marra era stato duramente contestato anche all’interno stesso del Movimento. In particolare da Roberta Lombardi (quella che si era permessa di sbeffeggiare pubblicamente Bersani in diretta televisiva mentre, nello stesso tempo, affermava che il fascismo della prima ora in fondo non era una brutta pensata).

A proposito di Marra, che si vantava di essere "lo spermatozoo che aveva fecondato l'ovulo del movimento" (sic!), la ex prima stella del M5S romano lo aveva definito un po' più realisticamente “il virus che ha infettato il movimento”.

Definizione tranchant, probabilmente azzeccata, che aveva però provocato l’irrigidimento della sindaca: «Sia chiaro: senza di lui non vado avanti... Raffaele Marra non si tocca, non si sposta, non bisogna dare all'esterno l'immagine di una resa». Tutto questo, narrano le cronache “nonostante il pressing di Beppe Grillo, nonostante l'irritazione di consiglieri comunali e parlamentari pentastellati".

Virginia Raggi è stata irremovibile. Per motivi che ora dovrà spiegare.

Quindi la responsabilità diretta, non solo politica, ma anche personale della sindaca è chiara e indiscutibile. L’ipotesi che venga sfiduciata dalla sua stessa giunta, su input dall’alto, è tutt’altro che peregrina; nella notte la sindaca si è riunita con i suoi fedelissimi per vagliare tutte le possibilità, ma il rischio che non possa andare avanti è sul tavolo.

Anche se resta possibile anche l’ipotesi di un arroccamento, per non dare l’impressione che si tratti di una vera e propria Caporetto a 5 stelle. O, addirittura, una resistenza contro tutto e tutti "anche senza il simbolo" del movimento.

In casa PD è ovvio che si gongoli - nonostante anche Sala a Milano si sia dovuto autosospendere per l’inchiesta su Expo - perché il successo di Virginia Raggi nella corsa alla poltrona amministrativa più importante d’Italia nascondeva l’intenzionalità non tanto latente, sia a sinistra che a destra, di scommettere sul suo fallimento per poter andare poi ad elezioni politiche avendo disinnescato a priori il rischio Grillo. 

Il (peraltro prevedibile) flop al referendum aveva reso tutto molto più complicato, ma la lunga e farraginosa gestazione di una giunta arrivata al traguardo incomprensibilmente non preparata, le molte nomine e dimissioni a ripetizione nel giro di poche settimane e l’impalpabilità, a sei mesi dalla vittoria elettorale, di un programma di azione effettivo nelle strade di una capitale allo sbando, avevano già appannato vistosamente la prova più importante del Movimento (oscurando da Roma l’azione che sembra invece efficace di Chiara Appendino a Torino).

Nei prossimi giorni si capirà meglio se, dopo l’abbandono di Paola Muraro, chiacchierata a lungo (ma nel silenzio di chi sapeva) e infine costretta a dimissioni obbligate perché indagata, l’arresto di Raffaele Marra segna il de profundis per la giunta Raggi e, probabilmente, per l’esperienza grillina nella capitale. Troppa approssimazione, troppa impreparazione, troppi battibecchi, troppa supponenza, troppi veti incrociati e prime donne (e uomini) per immaginare di poter replicare a tempi brevi.

Se così sarà, nulla vieta più che si assista nelle prossime ore ad una prodigiosa accelerazione verso le elezioni politiche: con la destra ancora spaccata in rivoli non dialoganti e i 5 stelle rintronati dalla batosta romana, la situazione non potrebbe essere migliore per il Partito Democratico, ancora così pesantemente renziano, nonostante la sconfitta referendaria.

D’altra parte lo si è sempre saputo: i democristiani sono ossi duri da scalzare. A volte sembrano spacciati, poi, non si sa come, te li trovi di nuovo baldanzosi su ogni poltrona che conta.

Ci vuole un’opposizione meno evanescente, meno ciarliera, meno piazzaiola e ben più solida, politicamente e culturalmente se possibile, per farlo.

La notte dei morti viventi, con questi competitor, può continuare imperterrita, in sæcula sæculorum. Nonostante ci siano praterie elettorali a disposizione di chi sappia articolare qualche pensiero sensato e qualche proposta meno cialtronesca di quelle che la politica degli ultimi decenni ci ha proposto.

 


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