Giornalisti volontari: senza carta si liberano le coscienze

par Daniel di Schuler
lunedì 23 agosto 2010

La diffusione dell’editoria in rete avrà conseguenze simili a quella che ebbero la diffusione della stampa e della carta.

Prima della stampa a caratteri mobili, la produzione di libri e quindi di cultura era monopolio di pochi scrittoi che copiavano, in edizioni sempre costose e a volte costosissime, un ridotto numero di testi. Il fatto che la maggior parte degli scrittori fosse collegata ai conventi, e che la gran maggioranza degli amanuensi fosse costituita da monaci, dava alla Chiesa un controllo pressoché totale della circolazione delle idee; di più, la somma del costo del lavoro dell’amanuense e di quello della preziosa pergamena rendeva il costo dei manoscritti elevatissimo e solo pochissimi, la nobiltà e l’alta borghesia commerciale, avevano accesso ai libri.

 

La stampa e la carta cambiarono tutto questo. Durante il cinquecento avviarono la propria attività decine e poi centinaia di stampatori in tutta Europa; per la fine del secolo c’erano tipografie in ogni angolo del continente e venivano stampati migliaia di titoli.

Il libro, ancora costoso, era comunque alla portata di una larga minoranza di europei e, per quanto le autorità civili e religiose cercassero di mantenere un controllo su quel che veniva pubblicato, i centri di produzione erano talmente numerosi da rendere vani i tentativi d’impedire la diffusione delle opere sgradite al potere.

La diffusione della riforma luterana, si è soliti giustamente dire, senza l’invenzione della stampa non sarebbe stata possibile e il luteranesimo avrebbe, probabilmente, seguito il destino di tante eresie che durante il medioevo si diffusero in un ridotto ambito provinciale prima di essere, in un modo o nell’altro, riassorbite. Lo stesso si può dire per tutti gli altri movimenti che, mirando ad alterare l’ordine precostituito delle cose, sono riusciti grazie alla stampa a far circolare le proprie idee nei secoli successivi.

I nemici della rete di oggi sono i diretti successori di quelli che furono i nemici del libro a stampa: sono i detentori del potere – non solo culturale – costituito, i sommi sacerdoti che officiano i propri riti, a pagamento, per il beneficio del sovrano. Tutti coloro che si sono ricavati una nicchia nel tradizionale mondo dell’editoria e dell’informazione.

Facile comprendere quanto vorrebbero i governi trovare un modo di controllare quello che circola sulla rete – in modo inversamente proporzionale alla loro reale adesione agli ideali democratici – mettendo un freno alla possibilità dei singoli cittadini di fare sentire la propria voce e partecipare così al dibattito politico.

Meno banale comprendere come il monopolio dell’informazione da parte di un ristretto gruppo di padrini dell’editoria condizioni, anche in paesi dove la situazione non è tragica come in Italia, le idee degli elettori e le scelte fondamentali delle società e che il giornalista tradizionale – rifiuto di usare il termine professionista per la categoria -, ricava dalla sua situazione di oligopolista delle idee tanta parte del proprio prestigio e tutti i propri mezzi di sostentamento. Non bisogna guardare oltre o tirare in ballo l’etica e la capacità professionali per capire il disprezzo che molti giornalisti della carta stampata, sicuramente tutti i pochi che conosco personalmente, riservano al giornalismo volontario: si tratta di una concorrenza, nuova, che opera secondo logiche a loro estranee e a cui non sanno, in realtà, come rispondere.

I blogger non hanno una “linea editoriale”, questa formula con cui il giornalista scusa la propria mancanza di spirito critico ed il proprio asservimento; non rispondono ad altro che alla propria coscienza: possono sbagliare e scrivere le più colossali sciocchezze, ma lo fanno – questa è la loro vera colpa – di testa propria. Si comportano, cioè, esattamente come i giornalisti tradizionali sognavano quando iniziarono la propria carriera; prima di guadagnarsi uno spazio in prima pagina e dimenticare i propri ideali se non la propria dignità.

Resterà importante il ruolo dei giornali tradizionali? Io credo proprio che le edizioni cartacee spariranno nel medio, lungo termine, dopo un periodo di convivenza con le nuove forme di comunicazione. Ci vorrà del tempo, ma alla fine si creeranno in rete soggetti editoriali – nuclei di aggregazione e diffusione delle idee - tanto nuovi ed inaspettati quanto lo furono Manuzio, Estienne o gli Elzevier rispetto ai monaci benedettini.

I quotidiani tradizionali, con le loro edizioni elettroniche continueranno forse ad esistere, ma non avranno mai più la stessa importanza che avevano fino a pochi anni fa e, per giustificare la propria esistenza, dovranno cambiare profondamente la propria natura. Mi sbaglierò, ma credo che la “linea editoriale” abbia i giorni contati. Per guadagnarsi l’attenzione del lettore, in un ambiente sempre più complesso e con infiniti concorrenti, al giornalista non resterà che tornare a dare, dei fatti, la propria onesta e personale opinione: a fare quel che sognava quand’era ragazzino, se ne è ancora capace.

Resterà fondamentale il ruolo delle agenzie d’informazione, che danno a tutto il sistema le notizie grezze, il materiale su cui lavorare, ma anche loro perderanno il potere enorme che ancora hanno in questi anni.

Inventare notizie di sana pianta, come accadde con il massacro di Timisoara del 1989, non è più possibile: il modo in cui i cittadini/ giornalisiti volontari hanno chiarito quel che era avvenuto durante il G8 di Genova, ha mostrato a tutti quali siano le possibilità offerte dalla rete di contestare, prove e documenti alla mano, le ricostruzioni di comodo o le menzogne palesi di chi, prostituendo la verità, serve questo o quel potere e si costruisce una carriera.

Di certi giornalisti, appunto.

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