Giornalismo: come raccontare lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante?

par Francesca Barca
mercoledì 24 settembre 2014

Come l'Afp ha scelto di raccontare quello che succede tra la Siria e l'Iraq. 

Michèle Léridon è la direttrice dell'informazione all'Afp (Agence France Presse) e in un editoriale spiega come l'Agenzia sta affrontando la questione Isis: cosa bisogna dire? Come bisogna dirlo? Fino a che punto bisogna rischiare per raccontare? Quali parole usare e perché?

Quello che succede tra la Siria e l'Iraq è un punto di partenza per riaffermare il lavoro giornalistico perché obbliga, dice la direttrice dell'Afp, a ripensare valori e regole: l'equilibrio tra il dovere di informare e quello di garantire la sicurezza dei reporter, l'imperativo di proteggere la dignità delle vittime messe in mostra dagli estremisti e il timore di non essere un megafono della propaganda degli jihadisti.

Per tutti questi motivi, negli ultimi mesi l'Afp si è data delle nuove regole: queste, e la riflessione che ha portato a produrle, sono elementi importanti per discutere e capire – per quanto possibile – quello che sta succendo tra l'Iraq e la Siria. Certe parole sono ancora più importanti perché l'Afp è la sola agenzia di stampa internazionale che ha ancora un ufficio a Damasco (gestito da giornalisti siriani).

La sicurezza

Da Beirut l'Afp manda giornalisti indipendenti nelle zone controllate da Assad, anche se dal 2013 non vengono più inviati giornalisti non siriani perché il rischio – come nel caso di James Foley – è troppo alto. Un giornalista in quelle zone (soprattutto se occidentale, quindi immediatamente riconoscibile), non è visto come un osservatore neutrale, ma come un obiettivo da battere, o al più come una merce di scambio.

Per questo motivivi l'Afp rifiuta categoricamente il lavoro dei giornalisti free-lance, che spesso vanno in queste zone e poi la contattano per proporre materiale. “I free-lance hanno pagato un contributo già troppo alto al conflitto, non sono carne da cannone. Non vogliamo incoraggiare dei giornalisti a prendere dei rischi”, dice la Léridon. Non per questo l'Afp smette di raccontare la guerra: ci sono giornalisti in Ucraina o Gaza. Qui, oltre a corsi di preparazione, vegono prese tutta una serie di misure di sicurezza (caschi, giubbotti anti proiettile, debriefing...). Inoltre l'Afp si fa promotorice di un blog sulla sicurezza nelle zone di guerra (solo per giornalisti Afp e clienti) dove si potranno scambiare informazioni sui conflitti, le zone pericolose, i contatti.

Uso delle immagini del terrore

Le foto e i video della propaganda dell'Isis, vista l'impossibilità di osservatori esterni sul posto, sono spesso l'unica fonte di informazione. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di immagini mostruose, che raccontano il terrore instaurato nello Stato Islamico. “A Nicosia, dove si trova il nostro quartier generale per il Medio Oriente e l'Africa del Nord, e a Beirut, da dove raccontiamo la Siria, i giornalisti che si occupano di esaminare queste immagini sono messi a dura prova”.

Che fare? Il primo riflesso sarebbe di non mostarle, per non fare propaganda, ma si tratta di un'informazione che si ha l'obbligo di dare. Prima cosa: si verifica la fonte. Ciò detto, l'Afp ha comunque scelto di non mostare immagini di decapitazioni di ostaggi. “Abbiamo pubblicato poche immagini fisse tratte da questi video, cercando quelle meno degradanti. Mostriamo l'immagine della vittima, quella del boia e l'immagine di chi viene designato come prossima vittima. (…) Cerchiamo di pubblicare delle foto della vittima quando era libera, per renderle la sua dignità”. Stessa cosa per quanto riguarda le dichiarazioni delle vittime: l'Afp rifiuta di pubblicare discorsi tenuti da persone nel momento in cui si trovano in ostaggio o minacciate di morte.

Come chiamare l'Isis?

Che nome usare quando si parla di Isis, o Is (Islamic State/Stato islamico)? L'Afp ha deciso di chiamarlo “organizzazione Stato Islamico” o “gruppo Stato islamico”, mentre nei titoli useranno “jihadisti dell'Is”.

Questo perché l'espressione "Stato Islamico" è inappropiata per due ragioni; primo non si tratta di un vero stato, con delle frontiere delimitate e riconoscimento internazionale; secondo, perché per molti musulmani i "valori" a cui questa organizzazione si richiama non hanno nulla di islamico. 


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