Giorgio Bocca: "E’ la Stampa bellezza!"

par Damiano Mazzotti
lunedì 8 dicembre 2008

Ho voluto utilizzare il titolo del libro di Giorgio Bocca perché era troppo azzeccato e poetico. Spero che Bocca mi perdonerà… Comunque nell’opera dell’ottobre 2008: “E’ la stampa bellezza! La mia avventura del giornalismo” (Feltrinelli), si riesce a seguire con la mente sempre molto attenta e appassionata all’autobiografia molto alleggerita ed essenziale di un raro esemplare dell’unica vera specie di giornalista che è rimasto in Italia: forse perché è uno dei pochi sopravvissuti che ancora scrive dopo aver combattuto una guerra vera per avere la possibilità di manifestare le proprie idee.

Bocca, nato a Cuneo nel 1920, ci racconta le trasformazioni di una stampa che da organo di partito o da proprietà di un capitalista più o meno illuminato, è diventata schiava della pubblicità e di un’economia cieca che però si muove sempre più in fretta… Dei buoni giornali fatti d’idee e d’informazioni non c’è più traccia: ci sono solo delle informazioni imprecise e grossolane che fanno il lavoro delle puttane. O un freddo linguaggio tecnico comprensibile solo agli addetti ai lavori che sono una piccola minoranza dei lettori.

 

Il compito democratico dei giornali di diffondere la conoscenza e di far maturare lo spirito critico dei cittadini è scomparso: questa società ha bisogno solo di docili consumatori. Ma nella classe dirigente nessuno in fondo pensa che per essere consumatori bisogna anche essere dei lavoratori, e giustamente retribuiti, altrimenti non rimangono i soldi per consumare e si pensa semplicemente a sopravvivere.

Comunque “forse Kierkegaard esagerava a descrivere i giornalisti come essere malvagi che di notte spargono i loro veleni davanti alle case dei cittadini onesti, ma è certo che il gigantismo (nel mondo dell’editoria e dell’informazione)produce più danni che vantaggi, specie ora che la quantità schiaccia la qualità come un rullo compressore: migliaia di giornalisti assunti per fabbricare telai pubblicitari al posto delle notizie ha azzerato i progressi fatti negli anni precedenti, quando abbiamo imparato a separare i fatti dalle opinioni, a dare le notizie prima dei commenti, a scrivere breve e chiaro“ (Bocca, p. 13).

A volte Bocca incontrava giovani giornalisti tormentati da un perfezione impossibile che gli chiedevano: “Qual è il segreto del buon giornalista? La precisione? Il distacco? La sintesi? La sintonia con i lettori? E lui rispondeva: non preoccupatevi, se un segreto c’è, è quello che avete già in testa, il segreto di chi ha orecchio per i suoni del creato, di chi ha occhio per la caccia, dello schermidore che sa parare e tirare”. Una delle cose che bisogna imparare è che tutte le notizie hanno un certo fondamento: è come un segnale che arriva dall’ignoto e che bisogna seguire… Le persone e i luoghi non scompaiono mai e quindi si deve andare: così si possono fare tutte le domande necessarie per approfondire le diverse realtà della notizia. Del resto il vero mestiere del cronista è quello della caccia alla notizia, di sapere ad ogni costo cosa avviene nel mondo, e di fissarlo in qualche modo sulla pagina bianca… si vive spesso un periodo che non si chiude mai, in cui si deve strappare la confessione all’assassino, una confidenza al traditore, un’ammissione all’adultero o alla spia a cui carpire la fiducia. Ma il cronista deve anche capire… anche i malvagi hanno bisogno di “amore e di amicizia”… Il cronista deve ingannare anche le persone per bene… “Per anni ho mentito ai parenti di un morto, per avere il tempo di rubare una foto dalla loro camera da letto”.

Secondo me questa enfasi sull’essere i primi, anche con l’inganno, dovrebbe essere in parte superata: chi “cucina in fretta” difficilmente riesce bene: bisognerebbe essere invece più accurati nella descrizione e nella narrazione dei fatti, e più obiettivi e originali nella loro interpretazione. Cosa che risulta più facile con una solida cultura generale e personale alle spalle. Che si fa leggendo più giornali, più riviste e innumerevoli libri di saggistica e di narrativa. Ma chi onestamente oggi riesce a trovare il tempo per fare tutto ciò?

E poi si scopre che anche Bocca si è dovuto a volte piegare alle classiche invenzioni giornalistiche. E che Oriana Fallaci aveva una tecnica tutta sua: negli articoli riportava le risposte con esattezza per evitare le querele, ma le domande erano artefatte, le rifaceva per sembrare più impertinente e spavalda. Tra le vicende vissute più interessanti c’è quella riguardante l’alluvione del Po, poi la guerra nel Vietnam, gli anni di piombo e la mafia. Vengono poi raccontate le grandi migrazioni degli anni ’50 e ’60 dal Sud al Nord e dalle campagne alla città alla ricerca dell’acqua corrente, delle comodità e del nuovo lavoro. Anche se dopo alcuni col tempo ritornano indietro per riassaporare “il piacere fisico del possesso, di camminare sopra il proprio fondo, di sentirsi meglio della gente priva di terra, la gioia del lavoro non a ore fisse anche se con momenti di ansia e di intensità grandissimi (Luigi Einaudi). Infine si parla di uomini che hanno fatto la storia d’Italia: Enrico Mattei e il generale Dalla Chiesa, i giudici Falcone e Borsellino, Bossi e Berlusconi…

Comunque Giorgio Bocca appare il classico piemontese dotato di buon senso e di quel pizzico di cattiveria che la vera intelligenza esige. E’ un giornalista che per salire ha dovuto mangiare ogni giorno “il suo chilo di merda e di fiele” (Hemingway), e che grazie alla sua modestia e furbizia contadina ha evitato la pericolosa megalomania del “potere del giornalista senza potere”, che finisce per rischiare troppo la vita prendendo di petto delle realtà al di fuori del suo controllo (i deliri di onnipotenza sono sempre dietro l’angolo). E’ anche il professionista che ha seguito il consiglio dei grandi maestri: come quello di avere sempre dei libri a disposizione per ricopiare qualcosa, “perché nulla è più inedito di ciò che è stampato” (Mario Soldati).

Pensandoci bene, forse uno dei compiti più difficili che un vecchio professionista può lasciare ai giovani di oggi, è quello di provare a costruire una società senza la menzogna istituzionalizzata, senza ricadere, a differenza delle generazioni precedenti, nella comoda e volgare società dove l’ipocrisia degli adulti viene miserabilmente sfruttata a scopo commerciale, politico e religioso.

 

P. S. John Stuart Mill ha detto: “Il desiderio ardente di obbedire, dominati da un uomo forte, è preminente, il piacere di servire è diffuso”. E sicuramente fare il giornalista è sempre meglio che lavorare (Barzini jr).


Leggi l'articolo completo e i commenti