Giappone: nucleare da esportazione e manzo radioattivo

par Lio Giallini
lunedì 29 agosto 2011

Come una tecnologia, considerata inutilizzabile in patria, possa miracolosamente diventare ottima da promuovere e vendere all’estero.

In un articolo apparso di recente su “asahi.com” (dal titolo “Government, industry refocus on nuclear plant exports”) si legge testualmente “Il governo – giapponese – di comune accordo con l’industria di settore ha rivitalizzato ogni sforzo, al fine di promuovere l’esportazione di centrali nucleari, nonostante abbia proibito la costruzione di nuovi reattori in patria, a seguito dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima No.1”. Nello stesso articolo (anche se non nello stesso ordine) troviamo anche “Il Ministero dell’Industria ha calcolato che il mercato di nuove centrali nucleari nel mondo raggiungerà il valore di “16 trillion Yen” entro il 2020”. “Fra le economie emergenti, solo l’Indonesia e la Thailandia hanno congelato la costruzione di centrali ...” e ancora “... i paesi in via di sviluppo si aspettano di soddisfare la crescente domanda di energia elettrica attraverso l’uso di centrali nucleari”. “Il governo, a partire dal momento del Grande Terremoto di Tohoku (11 marzo 2011 – che ha causato il disastro alla centrale nucleare di Fukushima) si è aggressivamente adoperato al fine di promuovere l’export di tecnologia nucleare”.

I critici dell’attuale governo, peraltro in liquidazione, per via delle dimissioni del Primo Ministro (On. Naoto Kan), parlano di doppio standard, nell’eliminare le centrali in casa, per rifilarle a qualche altro paese, in fase di espansione economica. Il Professor Tatsuhiko Kodama (Università di Tokyo) si è spinto oltre. Ha criticato aspramente l’Amministrazione Kan e ha definito la Dieta “dysfanctional” (la Dieta è il Parlamento giapponese) per non aver ancora fissato degli standard nazionali chiari e comuni a tutti gli enti locali, nel campo della decontaminazione da radiazioni nucleari e tutto ciò che ne consegue. La popolazione appare sembre più contraria al nucleare. Ma, il potere della relativa lobby continua a macinare business, senza sosta. L’accordo sulla costruzione di nuove centrali nucleari, firmato con il governo del Vietnam, ne è la prova. Questo specifico caso, ci fornisce un interessante esempio anche sul come operino le lobby, in relazione alla politica e non solo nel campo dell’energia. L’intreccio fra affari e politica non si sviluppa solo sulla base di singoli eventi occasionali o di azioni estemporanee che avvengono di tanto in tanto. Al contrario, si alimenta e si fortifica quotidianamente e quasi a dispetto di cosa accade nel mondo esterno. Persino gli incidenti gravi possono essere strumentalizzati e tornare utili, prima o poi.

Prendiamo il caso della carne di manzo, radioattiva. Oltre 1500 capi di bestiame contaminati da radiazioni (anche per essere stati alimentati con fieno radioattivo) sono stati macellati, venduti sul mercato nipponico e distribuiti alla popolazione, in almeno 37 Prefetture. Il controllo sulla radioattività del fieno era facoltativo e così pure quello sulla carne di manzo. Subito dopo lo scandalo, la vendita di bovini provenienti dalla Prefettura di Fukushima (e da altre aree limitrofe) era stata proibita. Nel giro di poche settimane il mercato di quella carne è stato ri-aperto. Le autorità competenti si sono affrettate a dichiarare che “... non si tratta assolutamente di tornare a vendere carne con valori di radioattività superiori a quelli previsti dalla normativa in vigore, perché saranno fatti i dovuti controlli”. Ed è appunto sul piano dei controlli che le lobby ottengono sempre ciò che vogliono ottenere. Infatti, come spiega anche The Japan Time (“Ban on beef shipment lifted”) è vero che la vendita di bovini è nuovamente possibile e legale, ma il manzo proveniente dalle Prefetture di Fukushima, Iwate e Tochigi può risultare ancora radioattivo.

Quindi, come si potrà garantire la salute e la salvaguardia dei diritti dei consumatori? Semplicemente, attraverso dei controlli a campione, effettuati dalle Prefetture medesime. In ogni allevamento si dovrà testare almeno un capo di bestiame, ogni tre mesi. In tale quadro di ritrovata concordia nazionale, un quadro dal sapore bucolico, romantico e vagamente crepuscolare, il governo ha annunciato la notizia con frasi trionfalistiche, pronunciate in conferenza stampa, dal faccione tondo e sorridente del Chief Cabinet Secretary Yukio Edano e accolte da convinti applausi dei lobbisti, presenti in sala. E vissero tutti felici e contenti (ma solo perché non avevano notato il doppio ruolo dei politici che, in quelle Prefetture, sono contemporaneamente i protettori degli interessi dei contadini e sono anche le autorità di gestione della cosa pubblica. Infatti, tali sporadici controlli a campione, sulla carne, saranno effettuati dalla lobby che – in qualità di produttore – vuole assolutamente riportare quella carne di manzo sulle tavole dei consumatori. Ossia dalla medesima lobby che – in qualità di controllore – dovrebbe poi individuare il manzo radioattivo, impacchettarlo e smaltirlo o eliminarlo come un rifiuto tossico e nocivo, attraverso complicatissime procedure non ancora ben definite e costi di smaltimento quasi inaccessibili o proibitivi). Un finale da favola. A dimostrazione dei favolosi risultati che possono essere raggiunti da una potente lobby, operante sul territorio.


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