Gian Antonio Stella: “C’è bisogno di un nuovo sessantotto”, ma senza violenze

par Giorgio Zintu
lunedì 16 aprile 2012

 

Siamo quasi in chiusura della lectio magistralis che ha aperto il corso Open Data Journalism a Roma – organizzato da Agorà DigitaleAssociazione Giornalismo Investigativo e Radio Radicale – quando Gian Antonio Stella (nella foto), risponde ad una domanda sul futuro incerto per tanti giovani qualificati e se dopo quella araba sia in vista una rivoluzione europea.
 
L’editorialista del Corriere della Sera, premettendo di non voler certo rivivere gli “strascichi terribili “di quegli anni di piombo che conosce bene per averli seguiti in prima persona come cronista, e quindi “al netto di tutto questo “ e cioè delle intollerabili violenze, individua nello spirito del Sessantotto la possibilità di scuotere un sistema politico ampiamente inadeguato, da parte dei giovani di qualità, che saprebbero ottenere un cambio di direzione per l’Italia , diventando la nuova classe dirigente del paese. Quella attuale, citando il caso del rettore della Sapienza, Luigi Frati, non rinuncerà facilmente ai posti di comando. Capita invece che una trentaquattrenne come Claudia Ferrazzi, sposata con figli, occupi la terza posizione nel management del Louvre, oppure che Alessio Figazzi, dalla Normale di Pisa e a soli 27 anni, sia andato a ricoprire l’incarico di Full professor all’Università del Texas.
 
Ma l’Italia può permettersi di perdere queste potenzialità, mettendo a rischio il proprio futuro?
 
La risposta non è poi così banale se col passare del tempo il tasso di cambiamento risulti irrisorio e si aggravino i problemi del paese. Sarà anche perché di buoni maestri di giornalismo ne girano pochi o almeno sono pochi quelli che tentano di svelare le magagne di un sistema politico che fagocita tutto. Gian Antonio Stella cita ad esempio l’episodio dell’ex presidente Leone che pretendeva si pubblicasse un’intervista di cui aveva preparato sia le domande che le risposte e che, alla sola idea che venisse utilizzato un registratore per tentare almeno di dare qualche informazione in più, non trovò di meglio che cacciare il povero Stella, per poi, forse pentito, scusarsi della pessima figura.
 
Secondo l'editorialista del Corriere, i politici italiani sono veri fenomeni nel sottrarsi alle domande “cattive” dei giornalisti, che sono spesso accusati di metterli in difficoltà. Preferirebbero molti politici che gli si chiedesse qualcosa del futuro, quasi fossero degli indovini o degli aruspici. Ma Stella precisa che sono proprio le domande difficili o scomode quelle che invece svelano le qualità di chi ci amministra. Negli Stati Uniti nessun Presidente sognerebbe di sottrarsi spudoratamente alle domande dei giornalisti: verrebbe sicuramente subissato da una montagna di proteste oltre che non poter sfuggire alle medesime domande, riproposte in una successiva conferenza stampa.
Al contrario, qui da noi si tollera che un Presidente del Consiglio abbandoni una trasmissione televisiva perché le domande poste dall’intervistatore non sono gradite. E troppo spesso accade invece che chi intervista il politico di turno non sia equidistante quanto “equivicino”, nel senso che la condiscendenza del giornalista è evidente.
 
Ma l’informazione, almeno per chi intende farne una professione eticamente inattaccabile, è fatta anche di dettagli, veri naturalmente, come lo possono essere le percentuali che danno maggiore credibilità alle notizie e sintetizzano in modo perfetto una situazione, meglio delle tante parole di cui sono farcite le trasmissioni televisive. Molto chiaro in proposito l'esempio sul taglio del 91% delle spese per le politiche sociali o dell’84% per il fondo idrogeologico quando nel medesimo periodo di riferimento, 2008-2011, i rimborsi elettorali sono aumentati del 1110% e le spese del Senato del 65%.
 
Stella è stato prodigo di esempi pratici o di avvertenze, in particolare sulla necessità che dati e informazioni vengano preventivamente verificati, evitando di ribaltare sui lettori affermazioni scorrette se non addirittura false. Un esempio citato è il famoso Sole delle Alpi che dato per buono come simbolo originale ed esclusivo della Padania e della Lega, si trova anche nell’arte bizantina o su sepolture in Tunisia ed in altre decine di luoghi che ben poco hanno a che fare con le montagne alpine.
 
Insomma, ricordando Malaparte, Stella conclude che abbiamo bisogno di giornalisti liberi, che non hanno paura di scrivere, anche se per questo dovessero correre rischi.
 
Luca Nicotra

 

 
Ma nel giornalismo, una sfida nuova attende reporter o comunicatori che frequenteranno il corso di Open Data Journalism del quale Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale, Leonida Reitano, presidente dell’Associazione di Giornalismo Investigativo e Diego Galli di Radio Radicale hanno esposto gli obiettivi.
 
Tutto parte dalla considerazione che i dati, di origine e tipologia diversi, pubblici o privati, sono in costante aumento, ma non sempre sono comprensibili. Diventa quindi importante acquisire particolari competenze per rendere fruibili per i lettori basi di dati economici o finanziari, visualizzabili in grafici, tabelle.
 
Gianni Betto

In linea con questa nuova missione, la prima giornata di questo Open Day Open Data Journalism è stata conclusa da due “tecnici”: Lorenzo Benussi, consulente del Ministro Profumo che si occupa dell’Agenda digitale dell'Italia, E-Gov e Open Data, e da Gianni Betto del Centro d'Ascolto dell'Informazione Radiotelevisiva.
 
Betto, che da anni si interessa di analisi quantitativa e qualitativa di quanto accade sui principali media in Italia e del mezzo che è ancora il leader dell’informazione, la televisione, si è trovato in disaccordo con l’affermazione di Stella sull'impossibilità che si possano nascondere le notizie in Italia. A parere di Betto, nascondere è invece molto semplice perché spesso le notizie vengono date ma in fasce orarie con bassi ascolti. Un dato esemplificativo è quello delle notizie degli 86 detenuti deceduti in carcere, che sono state, nel 2011, solo 145. I casi invece relativi ai casi Rea, Scazzi e Gambirasio sono stati trattati in ben 7600 notizie.
 
Ascolti forniti ai cittadini dalle principali trasmissioni di approfondimento Rai nella stagione 2010-2011 (Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva)

 
E’ chiaro come gli 86 morti in carcere siano “oscurati” dai tre diventati invece casi nazionali a furor di audience. L’analisi dei dati svela i meccanismi con cui vengono filtrate oppure omesse le informazioni, ma poco o nulla cambia nei TG che in modo chirurgico tagliano e cuciono le notizie di cronaca secondo particolari alchimie oppure dosano le presenze di partiti e politici non tanto per assicurare un servizio ai cittadini quanto per rispettare la classifica "elettorale" dei partiti ed incutere le "paure" del caso. Poiché è da quelle notizie che le persone si fanno un’idea della realtà, si comprende come circoli tanta disinformazione, giustificata dalle “preferenze” dei telespettatori, in cui manca sempre più una coscienza critica collettiva che genera una lontanaza dalla politica come interesse alla "polis".
 
Sarà forse anche per questo che in un’Italia immobile aumentano solo i palazzi del potere, l'età e gli stipendi degli inamobili dirigenti pubblici, la disoccupazione e la povertà? Ma basterà un nuovo sessantotto o ci vorrà un nuovo Risorgimento per affermare valori che non siano solo quelli monetari?

Leggi l'articolo completo e i commenti