Tra Gesù e Barabba, la folla chi sceglie?

par Sergio Giacalone
mercoledì 27 febbraio 2013

Sentimenti contrastanti e paradossali valutazioni sul suffragio universale.

Chi, in questi giorni di fermento elettorale, si è trovato a bighellonare nei social network si sarà certamente imbattuto con assidua frequenza in una frase pronunciata da Roberto Benigni in occasione della sua trasmissione “spot” sulla Costituzione repubblicana, che recita: “Chi non sceglie lascia il potere alla folla. E la folla sceglie Barabba. Sempre”.

La frase voleva essere un chiaro invito ad esercitare il diritto-dovere di voto e ha assolto, perciò, ad un ruolo sacrosanto.

Il problema sorge nel momento in cui svincoliamo queste parole dal fine che ad esse è stato attribuito nella fattispecie e le analizziamo, tenendo presente la persona che le ha pronunciate e il significato profondo che alla luce di ciò esse assumono; la frase assume allora risvolti inquietanti, svela contraddizioni, risulta fragile, quasi dannosa.

Evito di addentrarmi in giudizi di opportunità sul paragone storico, considerato che la metafora del Barabba – Male contrapposto al Cristo – Bene, mi evoca riflessioni sconvenienti: mi pare di ricordare che la religione che da Gesù Cristo trae vita rappresenti nella formazione culturale della sinistra laica uno dei peggiori mali dell’umanità. Religio instrumentum regni, religione oppio dei popoli e così via dicendo… Ma di acqua sotto i ponti tanta ne è passata e forse ricordo male.

Mi soffermerei, piuttosto sul concetto di “folla”.

Che cos’è la folla, mi chiedo, per Roberto Benigni? Chiaro che il termine viene usato in senso dispregiativo. Dubito allora possa riferirsi al “popolo” di “bolscevica” memoria, quel concetto deificato su cui la sinistra mondiale ha costruito le sue fortune e la cui volontà è sacra. Mi sembra ancora di risentirle in lontananza le mitiche note di “..avanti popolo alla riscossa…”

No, non può riferirsi al popolo. È come se il comico voglia più riferirsi ad una massa informe, non dotata di intelletto, un insieme di individui etichettato con un nome evocativo, troppo simile all’aggettivo “folle” per trasmettere sensazioni rassicuranti. Sì.

Ma cos’è un insieme di individui che esprime una volontà politica se non un…popolo? Ma allora? È così che un uomo di sinistra deve dipingere il “Popolo”? E la volontà popolare espressa tramite il suffragio universale, non è forse la regola basilare di ogni sistema democratico? È chiaro, accettare il suffragio universale vuol dire dovere fare i conti con un voto che non è necessariamente ragionato in ogni sua fonte di espressione; molti al voto “di testa” preferiscono il cosiddetto voto “di pancia”, quello catturato ricorrendo a promesse inverosimili e paradossali di professionisti del populismo. Il risultato elettorale di queste ore insegna.

Ma tant’è: in un sistema che si vuole democratico la volontà popolare va considerata e rispettata così come viene espressa, non si può distinguere fra chi la pensa in un modo e chi diversamente, etichettando questi ultimi come “folla”, causa di sciagure. La sinistra ha fatto della tolleranza e del rispetto della diversità uno dei suoi capisaldi. Ma quello di Benigni, che tutto è tranne che uomo di simpatie destrorse, finisce con l’apparire un atteggiamento discriminatorio stridente con la sua formazione e con le storiche battaglie della sinistra italiana.



Accennavo prima alla cruda realtà di questi giorni: ebbene, pare che non siano serviti mesi di scandali, di processi, di denunce di corruzione diffusa; il PDL ha rischiato di avere la maggioranza sia al Senato che alla Camera e il risultato definitivo sembra tracciare il solco dell’ingovernabilità; l’istinto, non lo nascondo, è quello di chiedere asilo politico alla Grecia, ma visto che ci sono torno all’esortazione di Benigni: non credo che si sia palesato il timore del disinteresse diffuso nei confronti di questa competizione elettorale, in fondo abbiamo fatto un po’ tutti il nostro dovere; l’astensionismo non ha raggiunto vette altissime: dunque abbiamo scelto.

Eppure sembra aver vinto Barabba. Siamo folla dunque? No, non siamo folla, siamo un popolo alle prese con la democrazia, cosa alla quale non siamo mai stati educati e che non abbiamo mai compreso fino in fondo; un popolo di individui meteoropatici, umorali, lanciati allo sbando nel campo di scelte molto più grandi di noi, tenuti in scacco per 65 anni da associazioni a delinquere chiamati partiti e stanchi di essere presi per il culo e al tempo stesso pronti a venderci per una promessa campata in aria.

Questo è il popolo italiano, Signor Benigni. Ma se nella sua definizione di folla si nasconde il riferimento ad una massa che ignora l’educazione al senso civico, beh… allora sì, siamo anche folla! Qualcosa non torna. Insomma, delle due cose una: o popolo responsabile e dunque adatto a gestire gli strumenti democratici che l’ineffabile costituzione repubblicana ci ha affidato e le cui scelte non andrebbero giammai discusse ma solo accettate perché utili al bene collettivo, oppure folla, ancora immatura, istintiva, da educare, magari tornando al punto laddove questo sfacelo è cominciato.

E veniamo al punto dolente. Mi piace qui ricordare anche a lei che la fatidica frase ha pronunciato nella sua entusiastica celebrazione della Costituzione della Repubblica Italiana, che la prima volta che il nostro popolo fu chiamato in massa al voto gli fu sottoposta una scelta, allora sì epocale, dove si mettevano in gioco le radici unitarie di questo paese, il nostro passato di lenta e difficile crescita verso un’identità condivisa e l’incognita basata sul sovvertimento delle nostre poche certezze che è poi stato il nostro presente.

Una scelta così grave affidata ad una “folla”: allora sì che è giusto usare questa definizione, se il riferimento è ad un popolo reduce da vent’anni di diritti sospesi e da cinque di strazi e distruzioni, strattonato e conteso dai partiti, intenti a preparare il letto di morte per il “sogno Italia” in nome di un trionfo tanto dolce per gli apparati quanto amaro per noi: lo sentiamo ancora forte quel sapore disgustoso, giusto in queste ore.

Per la prima e unica volta nella nostra storia quella fu una scelta dagli effetti immediati e non sottoposti alle successive mediazioni o agli aggiustamenti operati dall’apparato politico o da qualsivoglia istituzione che nella successiva storia repubblicana hanno manipolato, alterato, spesso mortificato e talvolta negato la volontà popolare espressa nelle consultazioni referendarie.

Quella volta gli italiani furono posti davanti a una scelta formidabile e definitiva (ahimè!), destinata a condizionare la loro storia, proprio com’era accaduto al tempo in cui Ponzio Pilato aveva chiamato il popolo di Gerusalemme a scegliere, senza se e senza ma.

Da lì un inarrestabile declino (mi astengo da giudizi su chi in tempi recenti si era convinto di avere i numeri per fermarlo). Era il 2 giugno 1946.

Ha ragione lei, signor Benigni: la folla sceglie Barabba. Sempre.


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