Germania ed Europa

par Aldo Giannuli
martedì 22 settembre 2015

In Germania c’è sempre stato un “partito antieuro” incarnato dalla Bundesbank, guardiana inflessibile del rigore monetarista che impose la clausola per la quale la Bce non può acquistare titoli di debito degli stati (unica banca centrale al mondo che non ha la funzione di prestatore di ultima istanza).

Alla Bundesbank si è associata anche la corte costituzionale sempre tedesca, che ha ripetutamente posto limiti ai trasferimenti di sovranità all’Unione. A queste opposizioni “storiche” si è aggiunta una forte crescita degli umori antieuropeisti nell’opinione pubblica che è condizionata anche dall’ossessivo ricordo dell’iperinflazione del periodo weimariano, cui si attribuisce la responsabilità dell’ascesa nazista al potere, con una sorta di “corto circuito” storico iperinflazione-nazismo-guerra.

In realtà le cose non sono affatto andate in questo modo: l’iperinflazione ebbe il suo picco fra il 1921 ed il 1923 ma già nel novembre 1923 veniva introdotto il “Rentenmark”, che sostituiva la moneta precedente. Nei cinque anni successivi la Germania conobbe una sorprendente ripresa economica, durante la quale i nazisti restarono un movimento del tutto marginale che non superava il 3% dei voti. Poi, nel 1929 la crisi mondiale fece temere una nuova ondata di iperfinflazione ed il governo –dal marzo 1930 presieduto dal centrista Bruning- adottò una politica violentemente deflattiva, che provocò una recessione senza precedenti ed i disoccupati passarono da tre a sei milioni in due anni. Fu proprio in questa fase che i nazisti ottennero i loro successi elettorali e andarono al potere. Ma Bruning è un nome poco ricordato nella storia tedesca: nel museo di storia tedesca, a Berlino (un museo vastissimo) il suo nome non compare neppure.

D’altro canto, in Germania sta nascendo un blocco economico che guarda più verso est che verso l’Europa. Già dal triennio 2006-2009, gli investimenti manifatturieri tedeschi in Russia sono cresciuti del 132%, ed in Cina del 51,2% (sono cresciuti anche verso Polonia, Giappone e Brasile), mentre sono diminuiti del 33,4% verso la Gran Bretagna, del 17,6% verso l’Italia, 10,6% Francia e 10,2% Spagna e del 15,3% verso gli Usa. Spostamento in parte – ma non in tutto- determinato dalla crisi.

In particolare, la costruzione del gasdotto Northstream, che collega la Germania alla Russia ha determinato la nascita di un asse energetico, nel quale diverse importanti società tedesche (come la Wintershall o la E.On) hanno avuto accesso diretto alla produzione di gas in Russia ed hanno partecipato diverse società russe del settore. Lo scambio di prodotti energetici con know how ha cementato una forte intesa fra i due paesi che va ben oltre il buon vicinato della Ostpolitik. Poi a partire dal 2013 le sanzioni verso la Russia hanno un po’ frenato la tendenza, anche se gli investimenti sono aumentati in Kazakhstan, Turchia ecc. Comunque, in Germania persiste una solidissima lobby filo russa (che include, oltre alle società del polo energetico, anche quelle alimentari e dei prodotti di largo consumo) e che sta solo aspettanto che passi la nottata per riprendere a fare affari.

E’ da questo stato di cose che ha iniziato a serpeggiare a tratti l’idea di una uscita tedesca dall’Euro con il ritorno al Marco. Questo determinerebbe la nascita di una moneta molto forte, tale da rendere molto difficili le esportazioni nel resto d’Europa ed in Usa, ma il compenso potrebbe essere cercato verso la Russia: ricchissima di commodities (gas, petrolio, oro, terre rare, minerali non ferrosi ecc.) ma con un sistema industriale disastrato, una rete di trasporti ed infrastrutture arretratissimo ed un forte ritardo tecnologico, che impedisce di sfruttare tutte le sue risorse (come le terre rare). La Germania ha una tecnologia molto avanzata, notevoli riserve finanziarie, ottime e riconosciutissime capacità organizzative: tutto quello che serve ai russi per fare un balzo avanti. In cambio i tedeschi potrebbero ottenere la partecipazione alle società minerarie russe, ottenendo –oltre che cospicui guadagni- anche immense quantità di materie prime a prezzi bassissimi e crearsi un mercato di sbocco molto consistente. D’altra parte, la moneta forte offre anche vantaggi ad esempio pagare poco la produzione delocalizzata della componentistica da assemblare in patria. E tutto questo rende molto affascinante la sirena orientale. Questo non significa che in Germania si stia affermando un partito del “subito fuori dall’ Euro”, anche perchè questo avrebbe costi vertiginosi, e poi c’è ancora la crisi ucraina a fare da freno; ma non è credibile che la Germania sia disposta a correre il rischio di perdere l’occasione ad Est, per salvare i partner dell’Eurozona.

Euro si, ma non ad ogni costo e non “sino a che morte non ci separi” e se proprio è la morte a doverci separare facciamo che morite vuoi del sud Europa.

D’altra parte, non è un mistero che la Germania (al pari dell’Inghilterra) abbia approntato un “piano B” nel caso di default europei che provochino il crollo dell’euro. Soprattutto, non è detto che quel che non è conveniente fare precipitosamente, non possa esserlo domani in forme più graduali.

D’altro canto, dall’inizio della crisi, la Germania si è trovata in un crescente isolamento, esploso in modo evidente quattro anni fa, in occasione della nomina del nuovo governatore della Bce, quando l’appoggio francese a Draghi affondò la candidatura tedesca. La Germania fece buon viso a cattivo gioco, ma questo non ha certo migliorato la sua disposizione verso i partner europei.

Il punto è che l’Euro è sopravvissuto al progetto politico della Ue a cui nessuno più crede, anche se nessuno lo dice. Se prima era la moneta di una promessa di Stato, oggi è una moneta sospesa nel vuoto. L’asse franco tedesco è andato deperendo già dagli anni novanta e l’evidenza è arrivata con l’accordo franco inglese del novembre 2010, presto definito “Entente frugale” perchè ufficialmente motivato da economie di bilancio, dietro il quale non era difficile scorgere un superdirettorio Nato anglo-franco-americano che emarginava la Germania costretta nel solito ruolo di gigante economico e nanerottolo politico. Ma la Germania non ha più bisogno della garanzia politica francese ed europea perchè la sua unificazione è ormai un fatto digerito, mentre l’Europa ha ancora bisogno della garanzia economica tedesca.

Nella mia città di origine c’è un detto che avverte: “l’acqua che non è caduta, sta ancora in cielo”. Appunto…


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