Gaza: quello che l’ambasciatore israeliano in Italia non dice

par Emanuele Midolo
martedì 20 novembre 2012

Qualche giorno fa Pubblico, il nuovo giornale fondato da Luca Telese aveva dedicato la prima pagina al massacro dei bambini palestinesi a Gaza, con un titolo ("E se fossero i tuoi figli?") che nella sua secca semplicità ha fatto un certo scalpore. La risposta delle autorità israeliane in Italia non si è fatta attendere. L'ambasciatore Naor Gilon ha accolto la giornalista Stella Prudente con il giornale spalancato sul tavolo: "Vogliamo parlare di figli? I terroristi di Gaza stanno sparando sui nostri figli dal 2009", queste le parole infuocate esplose del rappresentante israeliano prima ancora dei saluti di rito.

"Le spiego cosa significa vivere con una minaccia simile alle porte di casa (...) Nessuno (sic!) ne parla, ma tutto questo ha effetti psicologi tremendi anche sui bambini israeliani... Anche io ho tre figli in Israele in questo momento. La più piccola ha 18 anni, ma per me è ancora una bambina. Il pensiero di essere qui al sicuro mentre loro scappano nei bunker a nascondersi dai missili non mi rende particolarmente felice".

Al che, giustamente, la giornalista fa notare all'ambasciatore come una macabra ma lampante "matematica dei morti" veda le vittime civili palestinesi in testa, con più di un centinaio di morti da un lato e 3 dall'altro. Il diplomatico ribatte tranquillamente che sono i terroristi a farsi scudo dei civili, essendo gli attacchi dei cacciabombardieri israeliani "mirati" agli obiettivi strategici...

Proprio in tal senso la propaganda delle forze armate israeliane, l'IDF, aveva riversato sulla Striscia una pioggia di volantini in arabo che invitavano la popolazione a non frequentare membri di Hamas, per evitare di essere colpiti dai raid. La famiglia di tre persone, padre, madre e figlio, che viaggiava in auto nei pressi di Deir al-Balah, uccisi ieri da una bomba, oppure l'agricoltore falciato mentre si trovava da solo nel suo campo a Beit Lahiya avevano rispettato gli avvertimenti israeliani, ma a quanto pare non è bastato. Per non parlare di adolescenti e bambini, che nella Striscia rappresentano quasi la metà della popolazione totale. A Zeitun due ragazze ventenni ed un bambino di 5 anni sono stati dilaniati da un altro ordigno "intelligente".

"Le nostre forze di sicurezza usano sistemi tecnologici all'avanguardia. Nessun altro è in grado di intercettare i razzi con una simile precisione (...) Prendiamo misure cautelari ogni volta che si crea una situazione a rischio. Per questo i numeri sono dalla nostra parte. Ma quando passiamo alla rappresaglia, facciamo tutto il possibile per evitare vittime innocenti. Non è mai successo che puntassimo a civili".

Civili che, però, muoiono come mosche. Con "sistemi tecnologici all'avanguardia" l'ambasciatore intende lo scudo anti-missile Iron Dome, che ha permesso ad Israele di intercettare e deviare oltre 300 dei 640 razzi sparati contro i suoi territori. Un "lusso" - si fa per dire - che i palestinesi, non disponendo neppure di postazioni anti-aeree, non possono certo permettersi. I 1350 attacchi compiuti dai caccia israeliani in appena 6 giorni sono andati tutti a segno. Il che spiega come sia possibile che le vittime palestinesi, in meno di una settimana di conflitto, siano già più di un centinaio (111).

"Perché attaccare Gaza ora?", chiede la giornalista. L'ambasciatore esclude che si tratti di un'operazione politica della destra israeliana in vista delle elezioni di gennaio:

"C'è stato un attacco contro una jeep israeliana che pattugliava il confine. Israele ha risposto colpendo obiettivi strettamente militari e il risultato sono stati attacchi con razzi e missili da parte palestinese"

Quello che l'ambasciatore dimentica di dire ai lettori italiani è che, prima che un commando delle brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, sparasse un razzo contro una jeep dell'IDF in pattugliamento ferendo 3 militari, la mattina dell'8 novembre truppe israeliane avevano aperto il fuoco su un gruppo di "persone sospette" a Khan Younis, uccidendo un bambino di 12 anni, Hamid Abu Daqqa, che giocava a pallone nel giardino di casa.

Ora, dove comincia la ritorsione? Chi ha sparato per primo e chi ha risposto al fuoco? Sono domande che, in Palestina, trovano risposte diversissime a seconda di chi le ponga e di chi si prenda l'onere di rispondere.

Restiamo umani.


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