Gaza-Israele: escalation di violenza in vista del voto ONU
par Nuovo autore
giovedì 1 settembre 2011
Il 20 settembre l'Assemblea Generale dell'ONU discuterà la mozione degli Stati membri che chiedono la nascita dello Stato palestinese, proposta che incontra enormi difficoltà, quali la diffidenza di Israele e USA, ma soprattutto il clima di crescente tensione instauratasi dopo l'attentato dell'18 agosto ad Eilat. Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, scosso dalle grandi mobilitazioni per la giustizia sociale degli ultimi mesi, sperava di trovare nel voto ONU un pretesto per fuggire alle responsabilità del malessere popolare diffuso, incentrando la politica sul tema della “questione palestinese”, ma l'attentato avvenuto il 18 agosto a sud del paese ha accorciato i tempi.
Per diversi mesi migliaia e migliaia di persone hanno occupato le strade per chiedere al governo misure contro l'aumento del costo dei prezzi delle case, della benzina e delle tasse universitarie. Le maggiori mobilitazioni si sono svolte e Tel Aviv dove tra le bandiere bianco-azzurre con la stella di David, spuntavano anche bandiere rosse e foto di Che Guevara.
Il Governo, sotto scacco dalle mobilitazioni popolari, aspettava il voto ONU del 20 settembre per distogliere l'opinione pubblica dal malcontento sociale e indirizzarla verso l'odio nei confronti dei palestinesi, punto di forza della destra di Netanyahu.
Il 18 agosto verso mezzogiorno, un commando di terroristi ha attaccato due pulmann della linea 392 in viaggio da Beersheba a Eilat, località turistica sul Mar Rosso uccidendo 7 militari in ritorno alla loro base. I terroristi sono arrivati a bordo di un auto nelle vicinanze dei pulmann facendo fuoco più volte contro i mezzi. Pronta è stata la risposta dei militari, che hanno ucciso tutti e 7 i miliziani.
Sembra che l'obiettivo dell'attentato fosse il rapimento di un soldato israeliano per rafforzare la possibilità di intraprendere trattative per la liberazione di miliziani palestinesi.
Ehud Barak, ministro della Difesa israeliano, si è subito detto certo della responsabilità di Gaza nell'attentato, promettendo una risposta determinata e forte contro i mandanti. Il primo ministro Netanyahu ha immediatamente ordinato alle forze armate azioni di rappresaglia contro la Striscia di Gaza che non si sono fatte attendere: dal 18 agosto si sono susseguiti circa 30 raid, causa della morte di 18 persone tra cui un adolescente di 15 anni e del ferimento di altre 60 persone. L'esercito israeliano ha arrestato molti dei capi di Hamas, represso i Comitati di Resistenza Popolari e seminato il terrore tra la popolazione, arrivando ad arrestare decine di minorenni e trasmettendo diversi messaggi televisivi nei quali si mostrava la volontà da parte di Israele di rafforzare le azioni repressive se il lancio di razzi fosse continuato.
Netanyahu avrà esultato dalla gioia alla notizia dell'attentato, infatti il suo governo, indebolito dalle manifestazioni popolari degli ultimi mesi, ha ritrovato la forza perduta con la risposta violenta all'attacco terroristico. E come nelle migliori democrazie (si fa per dire) il silenzio è calato sui problemi sociali e il posto fisso degli economisti alla televisione è stato sostituito dai generali, agenti segreti, esperti di tecniche militari e poliziotti, oltre che degli sciacalli dell'estrema destra, che come al solito vivono sull'odio nei confronti del diverso. L'attentato ha anche oscurato ogni possibile proposta di tagli alla spesa militare, con il divampare dell'incubo della sicurezza. Ma l'esultanza di Netanyahu non era la sola, anche Hamas non ha trattenuto l'euforia di fronte al clima di tensione crescente. Con l'intensificarsi della violenza, Hamas ha imposto un blocco totale della Striscia di Gaza: ad otto studenti vincitori di una borsa di studio per andare negli Stati Uniti è stata impedita l'uscita dal territorio palestinese, ma paradossalmente anche ad altri ragazzi è stata negata quando hanno comunicato alle autorità la volontà di andare ad un campo estivo in Cisgiordania. L'obiettivo di Hamas è quello di creare un principato islamico e il confinare i palestinesi dentro la Striscia impedendogli di confrontarsi con altre società aiuta il gruppo terroristico a realizzare i suoi fini.
Ora il quadro politico internazionale non guarda favorevolmente alla Palestina in vista del voto ONU e la condizione rimane molta incerta: molte organizzazioni radicali in Palestina non digeriscono l'idea di entrare nelle Nazioni Unite e Netanyahu impedirà in tutti i modi l'approvazione della mozione che intende dare uno stato al popolo palestinese. Rischiano di divenire vane tutte le compagne di avaaz.org, di diverse ONG internazionali e gli appoggi di alcuni stati, quali Cina e Russia, ma soprattuto il timore più grande è che la spirale di violenza divenga sempre più grande fino a raggiungere le dimensioni di Piombo Fuso.