Garlasco, il caso Stasi: una condanna tra dubbi e silenzi

par Luca Nascimbene
martedì 29 aprile 2025

A quasi dieci anni dalla condanna definitiva di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi, Garlasco continua a portarsi dentro le ferite di una tragedia che ha segnato profondamente l’anima del paese. Una vicenda complessa, drammatica, che ha visto due famiglie spezzate e una comunità divisa. Ma anche una storia giudiziaria che, ancora oggi, lascia aperti più interrogativi che certezze.

Alberto Stasi, oggi trentanovenne, si trova nel carcere di Bollate, dove sta scontando una pena di 16 anni. È stato condannato in via definitiva nel 2015, dopo un lungo iter processuale: due assoluzioni nei primi due gradi di giudizio, poi una condanna nell’appello bis, voluto dalla Corte di Cassazione. Eppure, molti tra coloro che lo conoscevano bene continuano a nutrire seri dubbi sulla sua colpevolezza.

Un ragazzo normale, brillante, riservato

Per Garlasco, Alberto era un ragazzo come tanti. Una famiglia borghese, gli studi in Bocconi, una vita fatta di abitudini tranquille. Lo ricordano in tanti come un giovane educato, silenzioso, senza ombre apparenti. E ancora oggi, tra le vie del centro o nei bar del paese, il suo nome suscita riflessioni profonde, a volte sussurrate, a volte dette con coraggio.

“Io l’ho avuto a scuola,” ci racconta un ex docente del liceo scientifico di Vigevano. “Era sveglio, molto preparato. Non era uno scontroso, solo riservato. Non riesco a conciliarlo con l’immagine che hanno dipinto di lui nei processi e nei media.”

Un processo pieno di zone grigie

La sentenza che ha ribaltato le precedenti assoluzioni si basa su una serie di elementi indiziari, ma non su prove dirette. Nessun movente certo, nessuna arma del delitto trovata, nessuna traccia di sangue addosso o sui vestiti di Alberto, sebbene fosse lui a trovare il corpo di Chiara nella villetta di via Pascoli, la mattina del 13 agosto 2007.

Gli orari ricostruiti, la camminata “anomala” osservata nelle perizie video, la mancanza delle impronte sulle scale: tutti elementi utilizzati dall’accusa per costruire un quadro di colpevolezza. Ma anche elementi che, secondo molti esperti e osservatori indipendenti, avrebbero potuto lasciare spazio a un ragionevole dubbio.

“Se davvero il nostro sistema si fonda sul principio ‘in dubio pro reo’, allora qualcosa non ha funzionato,” osserva un avvocato pavese che ha seguito il caso da vicino. “Il processo Stasi è un esempio di come il peso dell’opinione pubblica possa talvolta superare quello delle prove.”

La pressione mediatica e il bisogno di un colpevole

Il caso Stasi è stato, fin dall’inizio, un processo anche mediatico. Talk show, speciali televisivi, interviste, servizi continui hanno trasformato una vicenda giudiziaria in uno spettacolo. In questo contesto, l'immagine di Alberto è stata spesso distorta, semplificata, trasformata in quella di un freddo calcolatore, distante, quasi "colpevole per carattere".

“C’è stata una voglia generale di trovare il colpevole a ogni costo,” dice una residente di Garlasco, che conosce entrambe le famiglie. “Ma io continuo a pensare che le cose non tornino. Nessuno ha mai spiegato in modo convincente perché un ragazzo come lui avrebbe dovuto fare una cosa del genere.”

Garlasco non dimentica, ma nemmeno dimentica di domandarsi

Oggi, in paese, la villetta di via Pascoli è silenziosa. Un luogo fermo nel tempo. La tragedia che ha colpito i Poggi è indelebile. Ma anche quella che ha colpito i Stasi non è meno dolorosa. Due famiglie distrutte, due vite spezzate. E nel mezzo, una comunità che si interroga.

“Non si può fingere che non ci siano dubbi,” conclude un anziano seduto sotto i portici del centro. “Magari è colpevole, non lo so. Ma se non ne siamo sicuri, allora non lo siamo nemmeno di aver fatto giustizia.”

Una riflessione che resta aperta

La vicenda Stasi è forse una delle più complesse della cronaca giudiziaria italiana recente. E come tutte le storie irrisolte, continua a lasciare aperto un varco nella memoria collettiva. Una domanda che torna a bussare ogni volta che si passa davanti alla villetta silenziosa di via Pascoli: e se non fosse stato lui?

Nel rispetto del dolore, nel rispetto della verità, forse dovremmo avere il coraggio di non archiviare i dubbi. Perché una giustizia che non ascolta il dubbio rischia di diventare ingiustizia.

Fammi sapere se vuoi che lo impaginiamo in formato da stampa (PDF o Word), oppure se vuoi allegare immagini, box informativi sul caso, cronologia, o aggiungere dichiarazioni da fonti specifiche.


Leggi l'articolo completo e i commenti