Francia e Jobs Act. Rivoltare l’irreversibile: una riflessione sugli scioperi francesi e sui nostri compiti
par Clash City Workers
lunedì 20 giugno 2016
#PARIGI: Siamo più di un milione!
“Siamo più di un milione, e precisamente un milione e trecentomila”. Questo il messaggio che i lavoratori francesi hanno saputo lanciare
a chi – Governo, opinionisti, giornalisti – voleva rappresentare in esaurimento un movimento che da tre mesi blocca settori nevralgici a ripetizione, occupa regolarmente le prime pagine dei giornali e contribuisce alcalo vertiginoso dei consensi dell’esecutivo socialista. Altri momenti di mobilitazione nazionale sono previsti per il 23 ed il 28 giugno, mentre chi prima era a bloccare le raffinerie continua ad impedire il “normale” funzionamento dell’economia, andando a coadiuvare gli operai dei centri di trattamento rifiuti, in sciopero anch’essi. Insomma, nessun ritorno alla pace sociale per la Francia, almeno finché il Governo non ritirerà legge, ora in discussione al Senato.
Poiché il movimento non si è affatto esaurito – come invece fu nel 2010, dopo l’approvazione della legge sulle pensioni di Sarkozy – il blocco dominante non può semplicemente puntare sul suo sfinimento, né solo sulle norme costituzionali di stampo gaullista, che permettono al Governo di bypassare l’Assemblea Costituzionale qualora lo ritenesse opportuno.
In Italia intanto…
Il comportamento della testata non deve stupire: essa tenta disperatamente di allontanare lo spauracchio francese che punta il dito sulle riforme in cui si è impegnato il Governo Renzi, prima fra tutte il Jobs Act, che – se da un lato non ha visto una reazione così unita come in Francia – d’altro canto non è affatto amato dai lavoratori italiani, che continuano a soffrire di disoccupazione, di assenza di sicurezze, di troppo lavoro e di bassi salari. Sfiducia confermata dall'evidente calo dei consensi di cui soffre il PD e che si è palesato nelle elezioni comunali di molte grandi città: Milano, Roma, Napoli, Bologna, Torino. Fiutata l'aria che tira, Renzi vorrebbe arginare questo calo dei consensi con una riforma costituzionale che blindi la rappresentanza parlamentare permettendo al leader di turno di governare anche con un consenso molto esiguo. Un passaggio, quello della riforma costituzionale, su cui Renzi si gioca molto se non tutto e su cui dovremo essere pronti a dare battaglia di qui a breve. Insomma, i padroni, Renzi e i suoi canali mediatici hanno paura. Di chi? Di noi, è chiaro.
Hanno paura, anzi, “si stanno cacando sotto”, nonostante le tristi sortite di CGIL e di Landini su quanto sta accadendo in Francia. La prima, infatti, alla vigilia del 14 giugno è emersa dal lungo e colpevole silenzio con un tweet e un comunicato di solidarietà ai lavoratori francesi. Il tweet è stato letteralmente inondato da commenti che hanno richiamato il sindacato più grande d’Italia alle sue responsabilità storiche e lo hanno accusato diimmobilismo di fronte al passaggio del Jobs Act in Parlamento. La Camusso, impegnata a cercare un improbabile riconoscimento da parte del padronato, non ha capito – o forse lo ha capito benissimo, ma fa finta di non saperlo – che per imporre norme nuove e accordi alla controparte, non basta alzare il ditino, ma bisogna agire e rovesciare i rapporti di forza, come stanno facendo ora in Francia, altrimenti le “carte dei diritti” restano solo dei “diritti di carta”.
Landini dal canto suo è tornato a giocare il ruolo di quello radicale, rilasciando un’intervista all’Huffington Postin cui accusa la propria organizzazione (!) di aver “accettato che un governo come quello di Monti desse applicazione alla lettera della Bce compiendo il primo attacco all’articolo 18 e alle pensioni. Abbiamo accettato senza batter ciglio l’introduzione del pareggio di bilancio in costituzione e abbiamo accettato che, caduto Berlusconi, si instaurasse un governo che ha dato applicazione all’austerity. Abbiamo fatto solo tre ore di sciopero e basta. Quello che è arrivato dopo è una conseguenza: Renzi ha agito su un terreno già arato.”. Un’autocritica dovuta, certamente. Solo che Landini predica bene e razzola male, perchè mentre blatera di coalizione sociale si comporta come la Camusso, ossia lancia segnali di distensione al padronato e soprattutto al suo antagonista principale, Sergio Marchionne. Nell’azienda che più ha fatto per anticipare la distruzione del diritto del lavoro in Italia, la FIAT – oggi FCA – gli operai FIOM hanno infatti messo in pratica il principio della coalizione, ossia si sono coordinati con gli appartenenti ai sindacati di base per impedire all’azienda di imporre gli straordinari comandati di sabato. Nonostante il successo degli scioperi, la segreteria di Landini ha dichiarato quegli operai “incompatibili” con la propria organizzazione. Cosa che ha portato proprio in questi giorni questi coraggiosi operai ad abbandonare la Fiom e passare all’USB. Non si capisce in effetti a cosa serva la coalizione sociale se appena viene messa in pratica davvero viene ostacolata.
E noi? Cosa possiamo fare?
Insomma, dicevamo, hanno paura di noi. Perché sì, è vero, veniamo da più di vent’anni di concertazione sindacale; da 19 anni di precarietà estrema introdotta dai Governi Prodi e D’Alema (sì, D’Alema, quello che ridicolamente adesso critica il Jobs Act di Renzi), che ci hanno reso più fragili e divisi di quanto non fossimo prima; da un vuoto di rappresentanza dei lavoratori che risale ai tempi della Prima Repubblica. Eppure, nonostante tutto possono bastare 3 mesi di scioperi e lotte vere in Francia a sfiduciare definitivamente le dirigenze confederali e buttare nel cesso almeno trent’anni di retorica sulla necessità di moderarsi, di concertare con il padrone, di essere austeri e responsabili nel nome della crescita dell’economia, che abbiamo imparato essere la crescita dei loro profitti e dei nostri problemi. Ed ora che scopriamo la possibilità di lottare davvero, di costruire da noi il nostro futuro, ci sentiamo soli e impotenti, e un po’”inferiori”. Ma è davvero così? O forse ci troviamo di fronte a necessità semplicemente diverse da quelli dei francesi?
Secondo noi, ogni momento ha i suoi compiti. Qui abbiamo provato a buttare giù un elenco di proposte che, pur nella loro semplicità, possiamo fare nell’immediato invece di lagnarci:
1) Sostenere le lotte in corso: le lotte in Italia ci sono, eccome se ci sono. L’ultima vertenza che abbiamo seguito è stata la lotta degli operatori di call-center Almaviva, che è riuscita a catalizzare una grande attenzione. E non è stata l’unica. A Milano in questo momento gli operai Marcegaglia stanno occupando la sede della direzione. I giornali non ne parlano, è vero, ma noi nell’immediato possiamo dare visibilità a queste lotte. Come? Non solo attraverso i social-media, ma anche parlandone in azienda con i nostri colleghi, costringendo i nostri sindacalisti e delegati a prendere posizione etc., organizzando piccole azioni di solidarietà, come un volantinaggio di fronte al proprio posto di lavoro, alla stazione o al centro commerciale più vicino..
2) Certo, fare questo da soli è difficile. Per questo è importante riprodurre sul territorio centri dove la solidarietà e il dibattito tra lavoratori siano all’ordine del giorno. Riappropriamoci della nostra storia, che non è affatto “inferiore”, bensì diversa e ricca di esempi di emancipazione provenienti proprio da noi lavoratori.Le Camere popolari del Lavoro, le Case del Popolo, lungi dall’essere degli uffici servizi o dei bar, possono diventare dei centri di aggregazione e di solidarietà importanti e spesso decisivi per sostenere le lotte in corso e creare quel tessuto sociale che rende una lotta incisiva. Perché, badate bene, in Francia la radicalità dello scontro non dipende unicamente dalle scelte del segretario generale della CGT o della direzione di SUD-Solidaire, bensì riposa molto più sulla disponibilità che c’è alla base delle organizzazioni, e che è prima di tutto coscienza della propria forza in quanto collettività di lavoratori. Ricostruire nuove Camere del Lavoro, strappandole alle burocrazie sindacali e ai settarismi, è un passo importante e necessario, in cui tutti dovremmo impegnarci quotidianamente., dai semplici lavoratori “senza tessera” e delegati (RSA-RSU) fino ai collettivi, alle organizzazioni studentesche e ai centri sociali etc.
5) Infine, banalmente, bisogna continuare a sostenere i lavoratori francesi. Quanti di quelli che si lamentano sui social di quanto gli italiani siamo pappemolli hanno partecipato ai presidi ed ai cortei di martedì? Agire è importante, porta a dei risultati tangibili, i francesi lo dimostrano. Lasciamoci dietro le scuse, rimbocchiamoci le maniche e facciamolo. Sostenendo i lavoratori francesi non solo diamo loro un segnale importante, facendoli sentire meno soli, rafforzando il loro movimento di fronte all’opinione pubblica internazionale, e – perché no – mettendo in difficoltà altre imprese, magari gli stessi padroni, come hanno fatto i facchini del’Interporto di Bologna, bloccato martedì in solidarietà con i colleghi d’oltralpe. Sostenendoli mettiamo alle corde il nostro sindacato qua, lo mettiamo di fronte alle proprie responsabilità, e soprattutto mettiamo insieme e rafforziamo tutti quei soggetti disposti a costruire quotidianamente le infrastrutture di base necessarie a ribaltare quello che qui da noi oggi ci sembra irreversibile, e che in realtà non lo è affatto.