Francesco Carbone e l’Italia senza pudore

par Giovanni Ugo
venerdì 17 dicembre 2010

Mi chiamo Francesco Carbone e vi scrivo pubblicamente dopo avervi scritto in privato molte volte senza ricevere alcuna risposta seria da parte vostra e le poche risposte che mi avete dato sono solo vergognose”. Così inizia la lettera aperta datata 3 ottobre e inviata da Francesco Carbone a “Tutte le autorità dello Stato e ai mezzi d’informazione”. E’ una lettera infuocata: “codardi”, “massoni”, “mafiosi”, “mi fate schifo”, ma anche se sembrano parole un po’ forti, un motivo per scriverle c’è ed è validissimo.

Prima di tirare le somme della vicenda però, la illustrerò così come la racconta Francesco e così come è testimoniata dai documenti ufficiali da lui diffusi. Brevemente:

Per sette anni Francesco Carbone è stato il responsabile per Verona della ditta che ha l’appalto di Poste Italiane. Ad un certo punto Francesco inizia a lamentarsi per la mancanza assoluta di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, l’obbligazione a fare lavori che, per contratto, non gli competevano, la presenza di lavoratori pagati in nero, straordinari sottopagati in nero, mezzi di trasporto mal messi e spesso senza revisione, estorsione di denaro agli autisti prelevato dalle loro buste paga sotto forma di rimborsi, continui insulti e minacce da parte del personale e dei dirigenti di Poste Italiane. 

La situazione è insostenibile e gravissima quindi Francesco decide di denunciare la cosa, per primo ad un dirigente della Cgil, che però oltre a non fare nulla gli consiglia di non “disturbare” gli alti dirigenti di Poste italiane. Non è finita. Vista la perseveranza di Francesco, il dirigente riferisce a tutti gli autisti della ditta che per colpa sua perderebbero il lavoro, creando attorno al denunciante il vuoto. La seconda denuncia che scrive Francesco Carbone è all’Ispettorato del lavoro. Denuncia la presenza di lavoratori in nero con tesserino identificativo fornito dai dirigenti di Poste italiane. Il direttore ordinario della Procura di Verona Palumbo non procede con l’ispezione perché ha forti dubbi sulla veridicità di quanto affermato da Francesco, senza verificare alcunché e senza denunciarlo per false informazioni a pubblico ufficiale. La USL di Verona, dopo la denuncia per le irregolarità riguardanti sicurezza e igiene, e soprattutto dopo la minaccia di denuncia (contro di loro) per omissione di atti di ufficio da parte di Francesco, esegue solo qualche controllo, senza lavorare realmente per concludere le indagini. La quarta e ultima sconfitta per Francesco Carbone arriva quando, dopo mesi di collaborazione con i Servizi Segreti e la Guardia di Finanza, non si svolgono i controlli sull’evasione fiscale denunciata e addirittura si tenta di far ritardare la denuncia che doveva presentare in Procura.

Francesco è costretto a dare le dimissioni in seguito a minacce e vessazioni di stampo mafioso ricevute dai dirigenti della ditta appaltante e di Poste italiane, appoggiati, come dichiarato da loro stessi, dalla politica e dalla (mala)giustizia. Ciliegina sulla torta, il Direttore del Triveneto di Poste italiane manda una raccomandata al datore di lavoro di Francesco per interdirgli l’entrata in tutti gli uffici di Poste italiane.

Però, testardo, indignato, Francesco è stanco di quell’Italia che è solo “spaghetti e mandolino” e decide di denunciare con video, foto, registrazioni e documenti ufficiali ad una Procura della Repubblica i gravi reati penali che si stavano perseguendo in Poste italiane. Dalla presentazione della denuncia sono passati 17 mesi e 8 giorni quando il Capo della Procura Schinaia decide di archiviarla senza nemmeno avvisare Francesco né interpellare il Gip, come prevede la legge.

Francesco presenta altre nove denunce, scrive a svariati Ministri e a tantissimi giornali, tv e blog. Praticamente niente e nessuno ha il coraggio di raccogliere le denunce fatte da Francesco e aiutarlo a diffondere la sua vicenda. Se non qualche spiraglio di libertà.

Il finale della storia non è a lieto fine, soprattutto perché siamo nella vita reale e non basta svegliarsi per far finire l’incubo: Francesco si è dovuto trasferire in Sicilia con tutta la sua famiglia, è a oggi disoccupato da 2 anni, e si chiede se “secondo voi è giusto e normale in una Nazione definita civile, perdere il posto di lavoro, perdere la dignità, perdere il diritto di avere giustizia per aver fatto il mio dovere e aver preteso i miei diritti?”.

Una fogna che chiamano Paese, Nazione, Italia. E noi tutti che ci viviamo in questa fogna e pur di non sentirne il puzzo cerchiamo di puzzare più di lei. Mentre chi, come Francesco, ha ancora il coraggio di denunciare.


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