Fortezza Europa, viaggio sull’invalicabile confine sud (1/4)
par Andrea Intonti
venerdì 12 ottobre 2012
Nel corso degli ultimi tempi, il continente europeo si è trasformato sempre più in una vera e proprio "Fortezza", chiusa verso chi tenta - emulando proprio gli europei di una manciata di decenni fa - di attraversare quel confine tra la povertà e la ricchezza, tra il cosiddetto terzo mondo e quel primo mondo che di questi è origine. E intanto - tra centri di identificazione, camere ad infrarossi e barconi - c'è chi ha trasformato i corpi migranti in un vero e proprio business.
Borders are the gallows of our collective national egos I confini sono il patibolo del nostro collettivo egocentrismo nazionale. [ “Borders are” - Serj Tankian]
Roma - La chiamano – non a torto - “Fortezza Europa”. Perché è esattamente questo che, dall'esterno, il continente europeo è diventato. Un'enorme, immensa fortezza – nella quale forte sta diventando il divario tra classe al potere e cittadini - che ha da tempo chiuso le proprie frontiere, le quali grazie agli accordi bilaterali vengono spostate sempre più a sud (tanto che in molti parlano ormai di una vera e propria “delocalizzazione” delle frontiere) instaurando delle zone intermedie, dei luoghi – come le città-satellite turche – che non appartengono di fatto né alla “fortezza” né all'esterno. Purgatori geopolitici dove vengono stoppati i migranti, il cui sogno di una vita migliore rappresenta il più grande pericolo per gli stati difesi dalla Fortezza: rompere quel modello di sostentamento basato sullo sfruttamento dei paesi limitrofi.
Per parlare della Frontiera Sud, baluardo politico più che geografico tra il Nord ed il Sud del mondo partiamo dall'Italia, la patria dei diritti umani dimenticati.
La doppia tagliola. Come se ciò non fosse già abbastanza, a Joy capita anche un'altra cosa: passare dalle mani di aguzzini illegali a quelle ben più linde ma non immacolate dello Stato, il quale – come vedremo – ha deciso che sulla pelle delle e dei migranti ci si possa speculare sopra. È proprio da qui che la storia nota di Joy inizia. Quando entra in vigore il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, con l'incremento del periodo di reclusione nei Centri di Identificazione ed Espulsione che passa dai precedenti sei agli attuali 18 mesi la rivolta dei migranti rinchiusi esplode con scioperi della fame, materassi bruciati, atti di autolesionismo e tentativi di fuga. A Milano, nel lager di via Corelli, la rivolta porta all'arresto di 18 uomini e 5 donne, tra le quali Joy ed Hellen, sua compagna di cella, che diventeranno le protagoniste involontarie di questa storia. Joy, infatti, ha raccontato – anche in sede dibattimentale – di aver subito un tentativo di stupro durante le rivolte di agosto 2009. Il giudice decise però di chiudere il caso con un'assoluzione. Aver avuto il coraggio di denunziare l'accadimento è costato a Joy ed alle altre ragazze una successiva deportazione in altri Centri di identificazione dopo sei mesi passati in carcere ed una denuncia per calunnia contro l'ispettore, con le «pressioni da parte della questura di Milano perché Joy venisse espulsa», come riporta un volantino redatto all'epoca da Noi non siamo complici – Donne contro i CIE. «L'espulsione di Joy», si legge nel documento «significa anche liberarsi di quella fastidiosa denuncia che porterebbe alla luce tutte le nefandezze che ogni giorno avvengono – con l'avallo e la complicità di polizia, Croce rossa e Misericordia – in questi moderni lager per immigrati chiamati Cie».
La politica dei respingimenti – dalla quale deriva il rinnovo degli accordi bilaterali con Egittoqualora rimpatriati i cittadini di questi paesi non corrano alcun rischio dopo essere stati rimpatriati, in una visione geopolitica che definire “miope” richiede un evidente sforzo di fantasia, laddove tale politica non è altro che la rappresentazione ideale dell'”assalto alla Fortezza (Europa) respinto”, così come rappresentato da media e politici xenofobi.
[1 - Continua]
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