Fisco con anello al naso, come concordato
par Phastidio
martedì 23 luglio 2024
Il vice ministro dell'Economia e zar fiscale prova a far la faccia feroce con gli autonomi, in caso non aderissero (come pare sempre più probabile) al concordato preventivo. Ma rischia guai
Il viceministro all’Economia e zar fiscale di FdI, Maurizio Leo, intervenendo al “Forum in masseria” (ia-ia-o) organizzato da Bruno Vespa, ha colto l’occasione per ribadire qualcosa a cui pare credere davvero: la possibilità che il concordato preventivo biennale produca gettito tale da beneficiare quegli spregevoli ricchi che hanno un reddito da 50 mila euro in su, e che oggi pagano una risibile aliquota marginale del 43 per cento, che praticamente li esenta dagli obblighi di socialità e solidarietà che sono alla base dello stato moderno.
Non mi soffermerò su quest’ultimo aspetto perché esula dai temi di questo post: vorrei solo rimarcare lo sconcio di un paese del G7 che applica questa aliquota da quella soglia di reddito. Ma questa non è ovviamente colpa di Leo né dell’attuale esecutivo. Diciamo che è il risultato di decenni di sgoverno di politica economica e la chiudiamo qui, per ora. Pur consapevoli che, da sinistra, ci sono e saranno sempre quelli che, al grido di “facciamo come la Germania, curva Irpef continua!” (un po’ come l’omonima lotta), vorrebbero punire questi kulaki con una marginale ben più elevata.
FAR SOLDI CON GLI AUTONOMI
Leo, si diceva, punta incredibilmente a fare soldi con gli autonomi, il gruppo sociale più coccolato da questo esecutivo e questa maggioranza. Ne ho già scritto, non mi ripeterò. Qui vorrei solo far notare che, in masseria (ia-ia-o), Leo ha mandato un messaggio che nelle sue intenzioni dovrebbe contemperare carota e bastone. Ad esempio, ha premesso di non avere “l’anello al naso” sulle dichiarazioni dei redditi, e la cosa certamente ci conforta, aggiungendo subito dopo:
Abbiamo dei dati che lasciano un po’ perplessi: vediamo ad esempio che un imprenditore che dichiara 15.000 euro paga il dipendente 20.000 euro, la cosa non regge. Alla luce di questo la proposta del fisco sarà verosimile.
Stavo per alzarmi ad applaudire per i canonici 92 minuti, ma mi sono fermato. Aspetta, mi sono detto. Quei 15 mila euro sono un reddito, un utile, cioè quello che residua sottraendo i costi ai ricavi. Invece, i 20 mila sono, appunto, un costo. Quindi parliamo di pere e mele e non necessariamente di una eclatante anomalia. Come è possibile che un indiscusso esperto come Leo faccia uno strafalcione del genere?
Probabilmente, il messaggio era del tipo: okay, fin qui vi abbiamo blandito. Con questo concordato e il precedente “bonus di entrata” di questo governo, la demenziale flat tax incrementale, vi abbiamo pure premiato dandovi modo di far emergere nero senza problemi, ma dovete aiutarci e contribuire. Fate emergere più nero e facciamo a metà, detto in sintesi (mia).
Altrimenti? Altrimenti, sempre ammesso di avere personale sufficiente all’Agenzia delle Entrate, verremo a prendervi, cioè accertarvi, sulla base di queste eclatanti “anomalie”. Che tuttavia, come ho scritto, tali non sono, nell’esempio “popolare” e populista trovato da Leo. Ma questo modo di esprimersi mi ha ricordato uno strumento che lo stesso Leo ha cercato di rispolverare, sia pure sostenendo di volerlo solo togliere dal limbo normativo in cui era finito, per desuetudine: il redditometro. Cioè, nell’intendimento originario dello strumento, una serie di indicatori “presunti” da cui evincere l’evasione.
ECHI DEL REDDITOMETRO
O almeno, da cui trarre i presupposti di accertamento. Ecco, questo modo di argomentare di Leo mi ricorda proprio il redditometro. Solo che, senza scomodare questo spaventapasseri, il fisco ha già uno strumento idoneo a indirizzare l’attività di accertamento: i punteggi ISA. Che, come ho detto, non sono il Vangelo perché a volte possono essere bassi anche per contribuenti che pagano sino all’ultimo centesimo (nota autobiografica dei tempi andati). Ma, piuttosto che niente, eccetera eccetera. Sempre, ribadisco, ammesso di aver personale per fare gli accertamenti. Altrimenti, è solo il cartonato di una faccia feroce.
Perché vi dico tutto questo? Perché mi sto formando un convincimento: che Leo creda davvero a quello che dice. Cioè creda che sia possibile chiedere agli autonomi di “smezzare” il nero con il fisco, e per questa via ridurre le tasse altrove. Magari a quegli spregevoli plutocrati che stanno da 50 mila lordi in su e sono pure dipendenti.
Da qui l’iniziativa sul redditometro, sia pure con l’intendimento di renderlo innocuo, almeno a parole. Iniziativa da cui è derivata una scomposta reprimenda da parte della maggioranza, una chiamata a rapporto dalla premier e la promessa di “valutare” ulteriormente lo strumento, nel senso di rimetterlo nel cassetto.
Se (un grande se) le cose stanno come dico, e cioè se Leo davvero si è messo in testa di prelevare altro dagli autonomi, prevedo per lui tempi molto difficili. Fossi in lui, e certamente sta facendo anche quello, valuterei di quanto è realisticamente possibile aumentare gli accertamenti in caso di rigetto di massa del concordato preventivo. Eventualità che pare stia progressivamente prendendo corpo.
Tu guarda che sorpresa, a soli vent’anni da quello tentato da Giulio Tremonti e altrettanto rapidamente fallito. Qui servirebbe la celeberrima definizione di follia coniata da Albert Einstein. Finite le carote, restano i bastoni. Leo si assicuri che non siano per lui, in caso si spingesse troppo oltre.
Resta il concetto di fondo: in autunno serviranno soldi, molti e maledetti. Altrimenti la povera Meloni, che per quella data sarà assediata da destra, in Europa e Italia, ricadrà sulla terra e probabilmente farà un bel cratere senza neppure trovare petrolio o almeno una falda idrica.
Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT