Fino a che punto è legittimo "cambiare bandiera"?
par LucidaMente
lunedì 19 novembre 2012
Il filosofo Giulio Giorello, nel saggio “Il tradimento” (Longanesi), riflette sulle ragioni che hanno spinto vari uomini politici a rinnegare i propri ideali e a ingannare chi si fidava di loro.
Niccolò Machiavelli, nello scritto Il Principe (Einaudi), sostiene che, non essendoci spazio in campo politico per gli ingenui, «non può per tanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere». Questa cinica asserzione si basa sulla constatazione che gli uomini, perlopiù, sono «ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno». L’amoralismo di Machiavelli, tuttavia, non diventa mai strumento di legittimazione della tirannide più bieca, poiché coesiste con la convinzione che «e’ principali fondamenti che abbino tutti li stati [...] sono le buone legge e le buone arme».
Ha ragione il segretario fiorentino a dire che, in politica, non bisogna farsi troppi scrupoli? Oppure è nel giusto Aldo Capitini quando, nel saggio Le tecniche della nonviolenza (Edizioni dell’Asino), controbatte che «il fine dell’amore non può che realizzarsi attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti» (cfr. Il rapporto tra mezzi e fine in Aldo Capitini, in www.lucidamente.com)? Come giudicare coloro che, nel corso della loro esistenza, hanno rinnegato le proprie idee e tradito le persone che si fidavano di loro? Di queste problematiche si occupa Giulio Giorello, docente di Filosofia della scienza presso l’Università di Milano, nel suo recente saggio Il tradimento. In politica, in amore e non solo (Longanesi, pp. 272, € 14,50). Il filosofo milanese esamina molteplici esempi di infedeltà, prendendo in considerazione i comportamenti di celebri personaggi storici e letterari, che incarnano mirabilmente le intrinseche contraddizioni della natura umana.
Senza demonizzare il tradimento, l’autore vuole «comprenderne i reali meccanismi». Il traditore, di solito, si presenta come colui che «illude gli altri e magari se stesso grazie alla capacità di varcare ogni limite sfidando natura e fortuna, o addirittura la volontà divina»; talvolta, però, egli assume il ruolo di chi «insegna agli oppressi come liberarsi dall’oppressore senza diventare stupidamente distruttivi». Ci può essere, dunque, un uso creativo e geniale del tradimento: in certi casi, essere infedele significa riaffermare il libero arbitrio, cercando di cambiare il corso degli eventi e della propria vita, senza remore morali. Pur condividendo in gran parte le argomentazioni di Giorello, riteniamo, tuttavia, che, in tempi così politicamente confusi come quelli in cui viviamo, non si debba essere troppo indulgenti con coloro che “cambiano bandiera” con facilità: c’è il rischio, infatti, di legittimare chi, per mero opportunismo, persegua l’utile personale, anziché l’interesse generale.
Un politico di valore, a nostro parere, deve saper conciliare il rigore morale col sano realismo, sapendosi adattare alla «realtà effettuale della cosa», senza per questo far sistematicamente ricorso all’inganno e alla menzogna. I comportamenti privi di scrupoli alla lunga non pagano, come stanno a testimoniare le sorti dei grandi dittatori: alcuni di loro sono stati travolti dagli eventi (Gheddafi, Hitler, Mussolini, Robespierre), altri sono stati, prima o poi, additati alla pubblica gogna per i reati che hanno commesso (Pinochet, Stalin, Videla). E anche taluni politici nostrani, abili nel mutare le alleanze politiche e nell’abbacinare una parte degli elettori con demagogiche declamazioni, hanno finito col perdere i consensi scaltramente ottenuti (in proposito, cfr. Pino Corrias – Renato Pezzini – Marco Travaglio, L’illusionista. Ascesa e caduta di Umberto Bossi, Chiarelettere).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VII, n. 83, novembre 2012)
L’immagine: la copertina del libro e una foto di Giulio Giorello (fonte; autore).