Fini cacciato dal Pdl

par Alfredo d’Ecclesia
sabato 31 luglio 2010

L’ufficio di Presidenza del Pdl, con un documento durissimo, ham di fatto, espulso dal partito Fini e i finiani, mettendo in discussione anche il ruolo di Presidente della Camera.

Il primo obiettivo è stato raggiunto: cacciare dal partito Giancarlo Fini e i suoi. Il secondo è di incutere timore a tutti quelli che, sottobanco, si lamentano dello stato della democrazia interna. Il terzo obiettivo: quello di spodestare Fini da Presidente della Camera è un po’ più difficile da realizzare, anche se le truppe del Premier si sono già organizzate. L’ex leader di AN ha già detto che non si dimetterà.

Ma veniamo al documento dell’ufficio di Presidenza: “L’Italia necessita di profondi cambiamenti sia nella sfera economica che in quella politica e istituzionale. L’azione del nostro governo presieduto da Silvio Berlusconi e la nascita del Pdl rappresentano ciascuno nella propria sfera, la risposta più efficace alla crisi del Paese. Il governo ha dovuto agire nel pieno della crisi economica più grave dopo quella del 1929, riuscendo a evitare, da un lato, gli effetti più dirompenti della crisi sul tenore di vita delle famiglie e dei lavoratori, e, dall’altro lato, preservando la pace sociale e la tenuta dei conti pubblici.

Con la nascita del Pdl, dall’altra parte, la vita politica italiana ha fatto un ulteriore passo in avanti verso la semplificazione e il bipolarismo. Occorre aggiungere che, in questi anni, gli elettori hanno sostenuto e premiato sia l’azione del governo che la nuova realtà politica rappresentata dal Pdl. Immediatamente dopo il nostro congresso fondativo, tuttavia, e soprattutto dopo le elezioni regionali, sono intervenute delle novità che hanno mutato profondamente la situazione, al punto da richiedere oggi una decisione risolutiva. Invece di interpretare correttamente la chiara volontà degli elettori, nella vita politica italiana hanno ripreso vigore mai spente velleità di dare una spallata al governo in carica attraverso l’uso politico della giustizia e sulla base di una campagna mediatica e scandalistica, indirizzata contro il governo e il nostro partito, che non ha precedenti nella storia di un Paese democratico. L’opposizione, purtroppo, non ha cambiato atteggiamento rispetto al passato, preferendo cavalcare l’uso politico delle inchieste giudiziarie e le speculazioni della stampa piuttosto che condurre un’opposizione costruttiva con uno spirito riformista.

Ciò che non era prevedibile è il ruolo politico assunto dall’attuale presidente della Camera. Soprattutto dopo il voto delle regionali che ha rafforzato il governo e il ruolo del Pdl, l’on. Gianfranco Fini ha via via evidenziato un profilo politico di opposizione al governo, al partito e alla persona del presidente del Consiglio. Non si tratta beninteso di mettere in discussione la possibilità di esprimere il proprio dissenso in un partito democratico, possibilità che non è mai stata minimamente limitata o resa impossibile. Al contrario, il Pdl si è contraddistinto dal momento in cui è stato fondato per l’ampia discussione che si è svolta all’interno degli organismi democraticamente eletti. Le posizioni dell’on. Fini si sono manifestate sempre di più, non come un legittimo dissenso, bensì come uno stillicidio di distinguo o contrarietà nei confronti del programma di governo sottoscritto con gli elettori e votato dalle Camere, come una critica demolitoria alle decisioni prese dal partito, peraltro note e condivise da tutti, e infine come un attacco sistematico diretto al ruolo e alla figura del presidente del Consiglio.

In particolare, l’on. Fini e taluni dei parlamentari che a lui fanno riferimento hanno costantemente formulato orientamenti e perfino proposte di legge su temi qualificanti come ad esempio la cittadinanza breve e il voto agli extracomunitari che confliggono apertamente con il programma che la maggioranza ha sottoscritto solennemente con gli elettori. Sulla legge elettorale, vi è stata un’apertura inaspettata a tesi che contrastano con le costanti posizioni tenute da sempre dal centro-destra e dallo stesso Fini. Persino il tema della legalità per il quale è innegabile il successo del governo e della maggioranza in termini di contrasto alla criminalità di ogni tipo e di riduzione dell’immigrazione clandestina, è stato impropriamente utilizzato per alimentare polemiche interne. Il Pdl proseguirà con decisione nell’opera di difesa della legalità, a tutti i livelli, ma non possiamo accettare giudizi sommari fondati su anticipazioni mediatiche.

Le cronache giornalistiche degli ultimi mesi testimoniano d’altronde meglio di ogni esempio la distanza crescente tra le posizioni del Pdl, quelle dell’0n. Fini e dei suoi sostenitori, sebbene tra questi non siano mancati coloro che hanno seriamente lavorato per riportare il tutto nell’alveo di una corretta e fisiologica dialettica politica. Tutto ciò è tanto più grave considerando il ruolo istituzionale ricoperto dall’on. Fini, un ruolo che è sempre stato ispirato nella storia della nostra Repubblica a equilibrio e moderazione nei pronunciamenti di carattere politico, pur senza rinunciare alla propria appartenenza politica. Mai prima d’ora è avvenuto che il presidente della Camera assumesse un ruolo politico così pronunciato perfino nella polemica di partito e nell’attualità contingente, rinunciando a un tempo alla propria imparzialità istituzionale e a un minimo di ragionevoli rapporti di solidarietà con il proprio partito e con la maggioranza che lo ha designato alla carica che ricopre. L’unico breve periodo in cui Fini ha «rivendicato» nei fatti un ruolo superpartes è stato durante la campagna elettorale per le regionali al fine di giustificare l’assenza di un suo sostegno ai candidati del Pdl.

I nostri elettori non tollerano più che nei confronti del governo vi sia un atteggiamento di opposizione permanente, spesso oggettivamente in sintonia con posizioni e temi della sinistra e delle altre forze contrarie alla maggioranza, condotto per di più da uno dei vertici delle istituzioni di garanzia. Non sono più disposti ad accettare una forma di dissenso all’interno del partito che si manifesta nella forma di una vera e propria opposizione, con tanto di struttura organizzativa, tesseramento e iniziative, prefigurando già l’esistenza sul territorio e in Parlamento di un vero e proprio partito nel partito, pronto, addirittura, a dar vita a una nuova aggregazione politica alternativa al Pdl. I nostri elettori, inoltre, ci chiedono a gran voce di non abbandonare la nuova concezione della politica, per la quale è nato il Pdl, che si fonda su una chiara cornice culturale e di valori, sulla scelta di un chiaro e definito programma di governo, su una compatta maggioranza di governo e sull’indicazione di un presidente del Consiglio, in una logica di alternanza fra schieramenti alternativi.

Questo atteggiamento di opposizione sistematica al nostro partito e nei confronti del governo che, ripetiamo, nulla ha a che vedere con un dissenso che legittimamente può essere esercitato all’interno del partito, ha già creato gravi conseguenze sull’orientamento dell’opinione pubblica e soprattutto dei nostri elettori, sempre più sconcertati per un atteggiamento che mina alla base gli sforzi positivi messi in atto per amalgamare le diverse tradizioni politiche che si riconoscono nel Pdl e per costruire un nuovo movimento politico unitario di tutti coloro che non si riconoscono in questa sinistra. La condivisione di principi comuni e il vincolo di solidarietà con i propri compagni di partito sono fondamenti imprescindibili dell’appartenenza a una forza politica. Partecipare attivamente e pubblicamente a quel gioco al massacro che vorrebbe consegnare alle Procure della Repubblica, agli organi di stampa e ai nostri avversari politici i tempi, i modi e perfino i contenuti della definizione degli organigrammi di partito e la composizione degli organi istituzionali, è incompatibile con la storia dei moderati e dei liberali italiani che si riconoscono nel Popolo della libertà.

Si milita nello stesso partito quando si avverte il vincolo della comune appartenenza e della solidarietà fra i consociati. Si sta nel Popolo della libertà quando ci si riconosce nei principi del popolarismo europeo che al primo posto mettono la persona e la sua dignità. Assecondare qualsiasi tentativo di uso politico della giustizia; porre in contraddizione la legalità e il garantismo; mostrarsi esitanti nel respingere i teoremi che vorrebbero fondare la storia degli ultimi sedici anni su un «patto criminale» con quella mafia che mai come in questi due anni è stata contrastata con tanta durezza e con tanta efficacia, significherebbe contraddire la nostra storia e la nostra identità.

Per queste ragioni questo ufficio di presidenza considera le posizioni dell’on. Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con l’attività politica del Popolo della libertà. Di conseguenza viene meno anche la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia di presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni. L’Ufficio di presidenza del Popolo della libertà ha inoltre condiviso la decisione del comitato di coordinamento di deferire ai probiviri gli onorevoli Bocchino, Granata e Briguglio”.

Ieri, alle 15, in una conferenza stampa il Fini ha replicato così: ”Sono stato espulso senza poter dire la mia. L’altro-ieri è stata scritta una brutta pagina del centro destra, ha proseguito Fini, ma non darò le dimissioni da presidente della Camera”. Fini ha poi aggiunto che nascerà un gruppo dai deputati e senatori che hanno lasciato il Pdl “formato da uomini e donne liberi che sosterranno lealmente il governo ogni qual volta saranno prese scelte nel solco del programma elettorale e lo contrasteranno se le scelte saranno ingiustamente lesive dell’interesse generale”. Fini ha poi continuato dicendo: ”Berlusconi non ha una concezione liberale della democrazia è dimostrato dall’invito a dimettermi dalla presidenza di Montecitorio perché è venuta meno la fiducia del Pdl. Ieri sera in due ore e senza poter esprimere le mie ragioni - ha aggiunto Fini - sono stato di fatto espulso dal partito che ho contribuito a fondare. Sono stato ritenuto colpevole di stillicidio, di distinguo o contrarietà nei confronti del governo, critica demolitoria alle decisioni del partito, attacco sistematico al ruolo e alla figura del premier. Inoltre - prosegue - avrei costantemente formulato orientamenti e persino, pensate che misfatto, proposte di legge che confliggono col programma elettorale”.

Dal sito di Generazione Italia si apprende sarebbero 33 i deputati pronto ad aderire: Ruben, Ronchi, Lamorte, Buongiorno, Scalia, Lo Presti, Perina, Granata, Briguglio, Giorgio Conte, Bellotti, Polidori, Moffa, Tremaglia, Urso, Menia, Consolo, Angeli, Sbai, Paglia, Raisi, Bocchino, Barbareschi, Siliquini, Della Vedova, Napoli, Proietti, Di Biagio, Patarino, Cosenza, Divella, Barbaro, Bonfiglio.

Il nome del gruppo dovrebbe essere “Futuro e libertà per L’Italia" e il rappresentante del gruppo dovrebbe essere Giorgio Conte.


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