Fine del berlusconismo come nel 1945: dopo le bombe, l’orgoglio

par Daniel di Schuler
mercoledì 26 ottobre 2011

"Siamo di nuovo al 1945 e, per quanto sia diverso il mondo in cui dovremo lavorare, per quanto siano ancora più difficili le nostre condizioni, all’esempio degli italiani di allora, che in un decennio riuscirono ad inventarsi il boom economico, dobbiamo rifarci" (citazione tratta da un commento a un post di Vittorio Zucconi).

Berlusconi ha già un piede sull'aereo che lo porterà ai Caraibi o in Crimea; la Lega sta perdendo consensi tra la propria stessa base e, se sopravvivrà, dovrà cambiare tanto profondamente la propria natura ed i propri modi da essere cosa molto diversa dal partito che è stato fino a poco fa.

Il berlusconimo-leghismo, la declinazione italiana d'inizio millennio dell'egoismo più ottuso, sta per scomparire senza mai essere riuscito davvero a costituirsi in regime; a volte per millimetri, le istituzioni hanno tenuto e gli italiani non gli hanno mai, nei numeri, conferito il consenso "totalitario" che fu del fascismo ai tempi della proclamazione dell'impero.

Sono queste alcune delle differenze tra i due rifugi/prigioni in cui, a meno di un secolo di distanza, si è infilata una parte della nostra società per paura del procedere inarrestabile della storia.

Per il resto sono numerosissimi i paralleli che si possono tracciare tra i due ventenni.

Per certo berlusconismo e fascismo finiscono entrambi sotto le bombe; quelle reali sganciate dagli anglo-americani allora e quelle finanziarie che, oggi, i mercati hanno già cominciato a tirarci addosso .

E’ sempre la realtà che viene a bussare con pugni pesanti alle porte dei sogni malati, dei deliri, in cui, aiutati da un sistema informativo ridotto a strumento di propaganda, tanti italiani sono caduti.

Una realtà fatta di macerie e di un paese, ancora una volta, da ricostruire.

Abbiamo mantenuto quasi intatto il nostro apparato produttivo; questo è uno dei pochi vantaggi che abbiamo rispetto ai nostri nonni.

Tutto il resto, a comunicare dalla fiducia degli italiani in sé stessi, pre-condizione perché vi sia fiducia nello Stato, è in condizioni ancor più tragiche che nel dopoguerra.

C’era allora l’assoluta certezza che il futuro sarebbe stato migliore; la convinzione che, in qualche modo, le cose si sarebbero aggiustate e in fretta; oggi nessuno, o quasi, tra noi prova questa sensazione. Vi è, anzi, una cappa di sfiducia che grava pesante sulle spalle d’ognuno di noi prima che sulla nostra collettività: è tanto diffusa da essere quasi un dogma l’idea che tutto andrà, comunque, peggio.

E’ contro questa sfiducia che dobbiamo lottare ora; è lei il nostro vero nemico sulla strada della ricostruzione e del recupero della dignità nazionale. Di una dignità ora almeno tanto ferita quanto lo fu dopo la sconfitta.

Siamo di nuovo al 1945 e, per quanto sia diverso il mondo in cui dovremo lavorare, per quanto siano ancora più difficili le nostre condizioni, all’esempio degli italiani di allora, che in un decennio riuscirono ad inventarsi il boom economico, dobbiamo rifarci.

Dobbiamo, per prima cosa, ritrovare, come individui prima che come comunità nazionale, il nostro orgoglio d’italiani.

Non è un caso se i milanesi, alla faccia del ragioner Tremonti che sicuramente li avrebbe disapprovati, ricostruirono la Scala prima di quasi tutto il resto: avevano bisogno di mostrare a sé stessi d’essere ancora, nonostante tutto, italiani nel vero e più alto senso della parola.

Di essere fatti delle miserie del presente, ma anche dei ricordi delle grandezze del passato e di avere dentro ancora una scintilla del genio che la storia ha concentrato nella nostra terra: il vero ombelico del mondo antico; l’eterna America che ha sempre attirato i popoli di tre continenti.

Il pubblico che applaudì frenetico Arturo Toscanini, uno degli italiani più grandi di sempre, alla fine del concerto di riapertura della Scala, l’11 maggio 1946, si stava dicendo quel che dobbiamo dirci adesso: che non basta un ventennio a cancellare quel che si è costruito in millenni di civiltà.

Che lo spirito italiano è sempre lì, dentro di noi; ridotto ad una brace, forse, ma non spento.

Che Mussolini, Berlusconi o chi sia, l’Italia resta sempre l’Italia.


Leggi l'articolo completo e i commenti