Finanziamento ai partiti: un paese geneticamente avverso alla competizione

par Phastidio
lunedì 3 giugno 2013

La caratteristica principale di questo paese, mai come in questo momento storico, è di dibattere sul nulla mentre fuori il mondo evolve. Caratteristica che si è ulteriormente accentuata in questo periodo di massima impotenza della politica davanti alla gravità di una crisi irrisolvibile ed incompresa nelle sue dinamiche fondamentali, e che si tenta di esorcizzare con una sorta di pensiero magico in cui ad esempio l’improbabile eliminazione di una patrimoniale sulla prima casa sarà risolutiva. Poi si cerca di venire incontro alle frustrazioni dell’elettorato promettendo tagli ai costi della politica, ma quei tagli mai arriveranno, perché il sistema ha un’altissima inerzia, resiste con le unghie e con i denti, è un parassita che sta portando a morte l’organismo ospite e forse è consapevole di ciò, ma non può comportarsi diversamente, e quindi procede verso la perdizione. Ed ora la rappresentazione catartica è giunta al finanziamento pubblico dei partiti.

Il governo ha licenziato le linee guida della “riforma”, le trovate qui. Sarà un disegno di legge, quindi avrà un iter verosimilmente lento e probabilmente incompiuto. Un po’ come quando il precedente parlamento decise di riallineare i compensi dei parlamentari alla media europea, incaricando l’allora presidente dell’Istat ed oggi ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, di fare una rapida ricognizione dello stato dell’arte europeo e tirare le somme ed i numeri. Incredibilmente, ma non troppo, quel tentativo fallì. Il sistema si preserva.

Le linee guida della riforma del finanziamento pubblico dei partiti sono centrate sulla contribuzione dei privati persone fisiche, con forti agevolazioni fiscali, e su erogazioni pubbliche. Queste ultime prendono la forma del 2 per mille del gettito Irpef:

I partiti politici che abbiano conseguito nell’ultima consultazione elettorale almeno un rappresentante eletto alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica potranno essere ammessi alla ripartizione annuale del 2 x 1000 della propria imposta sul reddito (IRE). Una decisione che assumerà il contribuente, sempre a decorrere dall’anno finanziario 2014, in fase di dichiarazione dei redditi mediante la compilazione di una scheda recante l’elenco dei soggetti aventi diritto.

Qui sorgono i problemi. Noi non siamo contrari a forme di erogazione pubblica al sistema dei partiti, ma questa soluzione è del tutto gattopardesca. In primo luogo perché, esattamente come per l’otto per milleanche qui si pone il problema della distribuzione dell’inoptato su base proporzionale alle scelte fatte. E questo è semplicemente inaccettabile, perché mette a leva le rendite di posizione e la passività dei cittadini, o anche il loro rigetto (legittimo, per quanto naif) del sistema partitico. Premiare la passività e l’inerzia non è mai la via per rigenerare un sistema profondamente malato. Meno che mai un paese che ha eletto l’abuso di posizione dominante a sistema, anche quando chi abusa di tale rendita è sempre più debole ed incapace di reggersi autonomamente, in assenza del beneficio di legge.

Che fare, quindi? Noi suggeriremmo di adottare il principio dei matching fund tra privato e pubblico. In altri termini, lo stato mette esattamente i soldi che i partiti ricevono dai privati, sia sotto forma di erogazioni liberali che di quote associative degli iscritti che di contribuzione obbligatoria da parte dei parlamentari. Non un euro di più, non uno di meno. Questo è un primo, banale ma efficace modo di aiutare partiti sulla base della loro forza elettorale. È un principio di competizione, se riuscite a non essere colti da allergia sentendo questo termine. All’interno di questo vincolo quantitativo, inoltre, occorre quindi che i partiti ricevano fondi pubblici sulla base del loro risultato elettorale assoluto.

Ecco quindi che dovrebbero essere previste erogazioni pubbliche in base al numero di voti effettivamente ricevuti. Per essere provinciali sino in fondo possiamo ricordare cosa accade in Germania. Dove lo stato eroga 0,85 euro per voto validamente espresso sino ai primi 4 milioni di voti, per poi scendere a 0,70 euro a voto, e 0,38 euro per ogni euro incassato dal partito a titolo di quote degli iscritti, di contributi obbligatori degli eletti nelle liste del partito e di contributi volontari.

Il tutto ovviamente certificato, eccetera eccetera. Adottare il principio del matching fund ed il correttivo dei voti effettivamente percepiti crea e mantiene un sistema premiante basato sulla competizione effettiva tra le idee ed elimina l’inerzia dal sistema, sanzionando finanziariamente i partiti che vengono collettivamente puniti dall’elettorato attraverso l’astensionismo, che viene quindi ad assumere precisa valenza politica. Voi vedete nulla del genere, nelle linee guida decise dal governo Letta sotto lo straniante ed orwelliano titolo di “abolizione del finanziamento pubblico ai partiti“? Noi no, ma forse difettiamo di fantasia.

Perché questo è lo stile italiano: le norme gattopardesche, l’interpretazione delle stesse, i bizantinismi formali che aprono la porta allo sbracamento del sistema. Un po’ come il requisito di “strategicità” degli investimenti del fondo di Cassa Depositi e Prestiti che dovrebbe guardare al futuro ed invece finanzia il presente ed il passato, grazie a piccoli paragrafi statutari “riequilibratori” di una mission aziendale troppo netta. Perché da noi le norme sono fatte per essere aggirate, non siamo così stupidi da tenerle alla lettera, come invece fanno anglosassoni e germanici, e gli accomodamenti compromissori sono parte della nostra più intima natura. E se anche dovesse passare, per volere di un demiurgo compassionevole, un principio di competizione nell’assegnazione dei fondi pubblici ai partiti in base al principio di competizione e di effettivo risultato, potete stare certi che le risorse mancanti al “sistema” verrebbero acquisite in altri modi, immaginate voi quali.

È un paese irriformabile, questo.


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