Finanza islamica, seconda puntata

par Susan Dabbous
giovedì 16 ottobre 2008

E se i veri terroristi stessero a Wall Street?

Montagne russe. Questo sembrano le borse mondiali agli occhi di chi lavora per percepire uno stipendio reale, per comperare dei beni reali, finalizzati a sostenere una vita terrena e, quindi, anch’essa estremamente reale. Oggi si parla dei responsabili del disastro finanziario come di un gruppo di mele marce in grado di inquinare il sistema fino a mettere in ginocchio l’economia de globo. Messa così la questione rimanda immediatamente ad un’associazione a delinquere di stampo terroristico. Sì proprio così. Un gruppo di persone infiltrate in un sistema riescono prima ad estorcere consenso e denaro agli altri, mentendo, e poi a diffondere il panico tra le stesse persone che prima avevono riempito di sogni e promesse. Manca il messaggio ideologico e il lavaggio del cervello? È innegabile che il denaro in sé, come valore assoluto, basta e avanza. Il paragone è estremamente esemplificativo e sicuramente poco convincente, così come poco convincente è la teoria dei broker “mele marce”. In attesa che venga dichiarata una guerra contro le “cellule subprime” di Wall Street è utile guardarsi attorno. La finanza islamica, ad esempio, seguendo la legge coranica, combatte da anni una “guerra preventiva” contro questo genere di speculazioni finanziarie. Si tratta di una battaglia, che piaccia o no, che al momento ha vinto in modo schiacciante. <Perché, in almeno due dei suoi principi fondamentali sui quali si basa il suo sistema, troviamo un antidoto al male che attanaglia la finanza mondiale:  il gharar, che vieta gli investimenti in attività che comportino irragionevole incertezza ed ambiguità e il maisir, che vieta la speculazione> spiega Fatima Edouhabi, economista di origine marocchina esperta di finanza islamica.<Poiché la riba proibisce l’interesse frutto di una semplice rendita finanziaria che non sia correlato ad un’attività reale comportante un determinato livello di rischio- continua Fatima- così sparisce l‘idea di interesse legato al fattore temporale: io guadagno solo se investo in maniera efficiente. Inoltre, la finanza islamica è fondata su un sistema di tracciabilità dei capitali che permette di collegare facilmente fonti ed impieghi evitando situazioni indecifrabili dovute alle asimmetrie informative tipiche del sistema occidentale>. In altre parole non sappiamo mai che fine facciano i nostri soldi.  <E allora-riprende la giovane economista- viene da domandarsi: è razionale avere un tale volume di raccolta di capitali se poi non si riesce a gestirli? Se questi capitali finiscono nelle tasche di pochi per sparire dalle tasche di tanti? Se imprese ritenute profittevoli falliscono nel giro di una settimana?

Non credo che tutto ciò sia sostenibile sia socialmente che economicamente>. In giorni di crisi abbiamo sentito voci autorevoli inneggiare ad un sistema economico più etico, mentre aspettiamo fiduciosi possiamo iniziare, forse, a chiedere alle nostre maggiore trasparenza.


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