Fiat, mancano le parole

par IRIS
mercoledì 12 gennaio 2011

Il caso Fiat è un problema di linguaggio e comunicazione più che di economia. E i lavoratori di Mirafiori potrebbero fare a meno di Marchionne.

“All’inizio era la parola”, dice Giovanni. E questo vale anche per l’immanente e incombente caso Fiat. Le vicende Pomigliano e Mirafiori sono infatti questioni di linguaggio e comunicazione, prima di essere problemi di politica ed economia.

C’è il discorso di Marchionne, tanto per iniziare. Che propone un linguaggio semplificato, banalizzato, pieno di luoghi comuni. Nel suo discorso gli operai italiani sono degli sfaticati e i sindacati che si oppongono inutili ingombri sulla strada della massima produttività. Marchionne propone slogan da bar al posto di analisi, offrendo titoli ai giornali, alimentando lo scontro ideologico al posto del confronto, parlando alla pancia e non alla ragione degli italiani.

C’è il dogma, che sostituisce il dialogo. Perché il nuovo metodo di gestioni delle relazioni industriali della Fiat non prevede confronto. Il soggetto imprenditoriale detta le sue condizioni e rappresentanze e lavoratori devono accettare. I piani imprenditoriali sono immodificabili, impermeabili alle critiche e alle contro proposte. Chi dissente sta fuori, perde i diritti o perde il lavoro. Lo stesso metodo referendario, ricattatorio, non prevede alcuna alternativa perché segue la regola del “dentro” o “fuori”. E’ il linguaggio universale dell’autoritarismo, della comunicazione verticistica, dell’intolleranza.

C’è il linguaggio globale, ma manca la lingua dell’Europa. Marchionne ha come riferimento imprenditoriale le multinazionali e i loro principi di delocalizzazione e sfruttamento ma trascura il vocabolario dell’Unione Europea. “L’economia della conoscenza”, pilastro dello sviluppo europeo, è sostituita dall’Ad Fiat con il risparmio sulla forza lavoro e ricerca, innovazione e sviluppo non rientrano tra le priorità del suo piano industriale. 

C’è il silenzio, affermativo, del Governo. Di fronte all’autoritarismo reazionario di Marchionne i politici di destra in parte tacciono, in buona parte applaudono. PDL e Lega, anche quando non dicono nulla, sostengono Marchionne. Perché restare inerti in uno scontro impari equivale ad agevolare il più forte. Che in questo caso è Fiat, con la sua minaccia di trasferire altrove i capitali e soprattutto il lavoro. Berlusconi e il canadese parlano la stessa lingua del Potere, insofferente al dissenso, indisponibile alla mediazione e alla limitazione del proprio dominio. Bossi fischietta distrattamente, permettendo la “cinesizzazione” degli operai del Nord che l’hanno largamente votato.

C’è il brusio della sinistra. Che riconosce l’esistenza di un problema ed è già qualcosa, considerando quanti, anche tra i sindacati, ficcano la testa sotto la sabbia e descrivono come “inevitabili” le decisioni di Marchionne, che invece sono scelte ideologiche. Una sinistra in cui si manifestano diversità - come è normale di fronte a problemi complessi – che non devono spaventare ma che occorre portare presto a sintesi. Una sinistra che non deve confondere il riformismo con la contro-riforma, perché il progetto Marchionne non è avanzamento ma arretramento, non nuova civiltà ma rinnovata barbarie. Una sinistra che dovrebbe progettare un rilancio industriale per l’Italia imperniato sulla ricerca, sulla riforma della P.A. e sulla partecipazione dei lavoratori alle imprese.

C’è il valore del dialogo, che è, sin dal mondo greco, la sostanza della democrazia. Dialogo che non è consociativismo, corporativismo e neppure contrapposizione violenta. Dialogo come riconoscimento del carattere intersoggettivo della verità, che si realizza attraverso la condivisione e la mediazione. Dialogo che permette alle società di esistere e di “tenersi” senza frantumarsi in atomi o corpi separati vaganti per lo spazio vuoto e confliggenti. Dialogo che non può essere sostituito o negato, perché oltre la sua soglia non resta che la violenza.

Per sostenere questo diritto minacciato penso sia giusto sostenere lo sciopero generale indetto dalla Fiom per il 28 Gennaio. Penso anche sia giusto votare “No” al referendum Fiat, perché il dialogo è il diritto indisponibile per eccellenza.

Marchionne dice che la Fiat se ne andrà da Mirafiori, se non passeranno i sì. Mi piacerebbe vedere raccolta questa sfida, collettivamente. Proporrei un azionariato popolare, tra i lavoratori e i cittadini, per comprarsi Mirafiori. Che d'altra parte è già un bene nazionale, visto che è costruita con i risparmi e le fatiche degli italiani. E vorrei chiamare ad amministrare l'azienda operai e manager assieme, democraticamente. Condividendo i fallimenti, ma anche i successi. Anche per mostrare a Marchionne che la Fiat può tranquillamente fare a meno di lui, mentra la Fiat non può fare a meno degli italiani.


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