Fiat: crollano in Italia le vendite -35% in giugno. In gioco 800.000 posti di lavoro

par Pompeo Maritati
mercoledì 4 agosto 2010

Negli USA Obama elogia la Chrysler mentre in Germania il settore auto vola. Costo del lavoro e rivendicazioni sindacali in Italia ostacolano il decollo del settore auto favorendo il trasferimento delle produzioni all’estero

Il vistoso calo delle vendite auto del Gruppo Fiat, pari a circa il 35% rispetto a giugno 2009, incute un grande timore per le ripercussioni che esso potrebbe avere, come al solito, per l’occupazione. Si ipotizzano che 650.000 posti di lavoro, compresi quelli dell’indotto, potrebbero essere bruciati. Una prospettiva che è totalmente in controtendenza rispetto ai dati andamentali della neo partner di Fiat, la Chrysler. Proprio qualche giorno fa Obama ha elogiato Marchionne (FIAT) per i risultati ottenuti negli USA da parte dell’azienda automobilistica rilevata alle soglie del fallimento. Che strano, Marchionne ottiene risultati esaltanti negli USA, ma in Italia è al di sotto dei livelli di mediocrità. Addirittura nel mese di giugno Fiat in Italia riesce a perdere più degli altri competitori, e come al solito i problemi sono sempre legati al costo della mano d’opera e delle rivendicazioni sindacali. Si addebita il crollo delle vendite anche al cessato sostegno governativo, la rottamazione non paga più. Se la gente non compra l’auto è colpa dell’elevato costo del lavoro e dei sindacati. In tali situazioni di crisi si accenna subito allo spauracchio della perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro ed il gioco è fatto, tutti i veri problemi, come al solito qui in Italia, rimangono irrisolti. Partono subito cassa integrazione, incentivi e agevolazioni, che ovviamente sono sempre a carico della collettività, senza mai verificare se dietro tutto ciò ci sia un vero e serio programma industriale che si basi su innovazione, ricerca e qualità, elementi che consentano se ben armonizzati tra loro, di porre in essere una vera ed efficace competizione sui mercati.

Ma non scherziamo, smettiamola di pensare, peraltro anche spudoratamente convinti che la colpa sia solo dell’elevato costo del lavoro e delle insensate richieste o prese di posizione dei sindacati o di qualcuno di essi. In che in mondo viviamo se non riusciamo a capire che il settore dell’auto è maledettamente appesantito ed ingessato da fattori esterni che ne disincentivano lo sviluppo. E’ ovvio che il mercato non potrà essere narcotizzato a vita dagli incentivi governativi. Un’azienda deve anche essere in condizioni di saper camminare con i suoi piedi, attraverso la capacità di sapersi rinnovare, nel continuo miglioramento della qualità che gli consenta di poter competere ad armi pari sul mercato mondiale dell’auto. Chi sa perché la FIAT ancora oggi non riesce a tirar fuori quei tre quattro modelli vincenti, da convincere il mercato, in particolare quello italiano che per oltre il 70% (scusate se è poco) predilige il prodotto straniero. Prendiamo ad esempio l’andamento del mercato dell’auto tedesco!

Non dimentichiamo che non è nemmeno giusto addossare tutta la colpa solo al prodotto FIAT, in quanto i costi assicurativi generalmente oltre doppio della media europea, un levato costo delle autostrade, un costo del carburante tra i più alti nel mondo, per non parlare della gabella rappresentata dalla tassa di circolazione contribuiscono notevolmente a disincentivare l’acquisto di una nuova auto. Quest’anno le assicurazioni hanno mediamente aumentato le tariffe di circa il 15% senza che nessuno abbia battuto ciglio. Tutto regolare. La benzina che non scende dalla soglia dell’euro e 40 centesimi, tutto regolare. Se il potere di acquisto diminuisce ed la disoccupazione aumenta è sempre colpa della mano d’opera e dei sindacati. Se scendiamo in profondità al problema, non possiamo non tener conto della continua lievitazione delle tariffe dei parcheggi urbani, che continuano a dilagare o meglio ad espandersi come una malattia contagiosa per non parlare poi dell’onerosità delle nostre autostrade. Non possiamo nemmeno dimenticare la sempre crescente difficoltà di circolazione, lo stato non sempre perfetto delle nostre strade, in particolare quelle cittadine, spesso paragonabili a percorsi di guerra. Se tutto ciò pensate che non leda il desiderio di acquisto di un auto nuova, allora vorrà dire che non si ha la voglia di affrontare seriamente il problema. Poi se ci mettiamo anche la crisi che sta sgretolando giorno dopo giorno il reale potere di acquisto, ecco che il gioco è fatto.

E’ giusto risolvere il problema continuando a trasferire la produzione all’estero? 

Capisco che la partecipazione di tanti fattori contemporaneamente rendono sempre più difficile la ricerca di soluzione valide, è altrettanto vero che ridurre il problema ai soli due fattori, costo della mano d’opera e sindacati è altrettanto puerile e da ciò scaturisce la carente la volontà di affrontare di petto il problema rappresentato da centri di potere alquanto forti. Però se si continua sulla stregua di quanto posto in atto sin’ora vorrà dire che i nostri medici dell’economia ancora oggi continuano a curare il cancro con l’aspirina.


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