Festival Internazionale del Giornalismo. Da Sergio Romano a Paolo Liguori: cronaca di una giornata

par Francesco Piccinini
giovedì 2 aprile 2009

Il secondo giorno dell’International Press Festival ha visto come protagonista Sergio Romano. Nella sua lectio magistralis parla di potere e stampa. Parte citando l’ex primo ministro inglese Tony Blair che, in suo celebre articolo, rimproverava i media di essere troppo frettolosi nel dare e verificare le notizie pur di stare dietro al flusso di informazione proveniente dal web.

L’editorialista del Corriere sferza, con la diplomazia che gli è propria, la stampa italiana: “i giornali non sono organi di informazione ma strumenti di una battaglia. Possono essere ottimi, buoni o pessimi a seconda degli uomini che i fanno ma l’unico ruolo è quello di “confortare” i lettori”. Nonostante questa presa di posizione è scettico anche nei confronti dei blog che vede, spesso, come un chiacchiericcio: “I blog non sono necessariamente la manna del giornalismo contemporaneo. Non sono la risposta di un giornalismo migliore, sono il buco della serratura attraverso cui il cittadino arrabbiato contempla il mondo della politica e degli affari”.

Un momento interessante, una vera lezione di giornalismo che, di contro, è oscillata tra aperture, come quella sull’ordine dei giornalisti: “se davvero si ritiene utile l’esistenza dell’ordine, questi dovrebbe garantire la serietà dei suoi membri” a tutela degli “old medias”. La sua veste di editorialista di punta del primo giornale italiano non gli consente “slanci” eccessivi, ma ha saputo districarsi egregiamente anche alle domande al vetriolo della platea.

Ha ammesso che: “se i giornali italiani – come quelli americani - pubblicassero la lista degli errori non basterebbe una colonna”. Ha riconosciuto la crisi della stampa in senso di azienda ma non di necessità dell’uomo di informarsi: “il mestiere non è in crisi. In crisi è l’azienda giornalistica. Prima era un’impresa familiare o individuale, che spesso era anche direttore. Nel corso dei decenni l’azienda è cambiata. […] Assistiamo ad una crisi del giornalismo che coinvolge i mostri sacri come il NYT, Le Monde, i locali inglesi o altri quotidiani americani”.

Prima di chiudere con una frase di Hegel, erroneamente attribuita a Goethe (ah! La verifica delle fonti!), ha voluto soffermarsi anche sulla “faziosità” del giornalismo on line: “internet ci permette di allargare le nostre fonti, ci permette di fare un giornale più vario più ricco, il rischio di contro è un giornale più personalizzato, che può diventare ancora più fazioso di quello dei quotidiani ideologici”. Un intervento di un’ora da parte di un “grande vecchio” del giornalismo italiano che, a giusta ragione, difende quanto di buono fatto, per lunghi anni, dai giornali italiani e che non vuole accettare che, purtroppo, gran parte di quella generazione di “signori” del giornalismo non c’è più. Chiedere di più alla stampa di oggi non vuol dire attaccare quanto di buono fatto, significa, anzi, tutelare la memoria di quei giornalisti. Uomini e donne che raccontato l’Italia e il mondo, che ci hanno fatto riflettere e pensare. Anche per loro bisogna chiedere di più all’informazione italiana oggi.



3 DOMANDE A...PAOLO LIGUORI. Di Rosa Pastena


Cosa ne pensa del Citizen journalism?
Io ne penso tutto il bene possibile, spero che si diffonderà E che trovi piattaforme serie su cui orientarsi. Che non sia più solo un fenomeno sporadico, ma diventi un movimento serio di informazione non ufficiale. Abbiamo bisogno di informazione che la gente senta come vera, veda vera.
 
Si parlava di “Tossicità” all’interno del sistema d’informazione. Cosa è che lo intossica?
L’informazione è intossicata dalle stesse tossine della società, però non riesce a tirarsene fuori. Soprattutto, quello che maggiormente nuoce è l’autoreferenzialità, per questo che il citizen journalism costituisce una risorsa, un antidoto.
 
Questione Pino Maniaci. E’ stato denunciato come abusivo perchè non ha il tesserino...
Anche Mauro Rostagno è stato minacciato di morte dalla mafia, è stato ucciso e non era un giornalista. Chissenefrega che non è un giornalista, se viene minacciato di morte dalla mafia, vuol dire che la sua informazione era un opera meritoria e anche pericolosa. Va difeso e protetto, non punito.


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