Federico del Prete: nove anni dopo

par Sergio Nazzaro
sabato 19 febbraio 2011

Nove anni dopo si ricorda per non perdere la memoria. Quando lessi la notizia dell’uccisione di un sindacalista rimasi colpito dal silenzio. Nessuno ne parlava. Anzi no, solo pochi, quelli che sono qui anche oggi. Volevo capirci qualcosa di più, e questo mi portò ad incontrare Vincenzo, il fratello. A Mondragone. Ricordo le sue parole: “Sono sempre venuto in vacanza qua, perché non dovrei tornarci?”. Era un caldo giorno d’estate. E dal primo incontro, grazie ai Del Prete, cominciai a capire qualcosa di camorra e soprattutto di normale eroismo quotidiano. Erano tempi duri e bui. Si sparava quasi ogni giorno. I morti affollavano le strade, ma nessuno sembrava scandalizzarsi più di tanto. “Voglio capire perché è morto mio fratello, voglio sapere chi lo ha ucciso, voglio sapere la verità”.

Queste parole di Vincenzo mi sono rimaste impresse nella mente. Semplici, dirette, chiare. Comprendere la verità. Nove anni dopo come siamo messi? Ormai si è detto tanto, scritto tanto, abbiamo creato martiri e santi della lotta alla camorra, e ormai sta tornando il silenzio. Un silenzio terribile. Uomini di potere che hanno tentato la scalata ai poteri nazionali, vengono confinati di nuovo nelle nostre terre, tanto non contiamo molto per chi comanda davvero. Rimandiamoli a casa loro quelli marci, è un problema loro. Si è messo su uno spettacolo di lotta alla camorra, più nella forma che nella sostanza.

Cosa è cambiato realmente? Si discute molto, e si ricorda poco. Federico Del Prete cambiava la realtà ogni giorno. Azioni concrete, pratiche, di ribellione, di dignità, di riscatto. E aveva scoperto due grandi verità: basta denunciare, lottare che qualcosa può cambiare. Ma anche la viltà di tanti che hanno subito voltato le spalle al suo coraggio appena dopo l’omicidio. E come sempre accade nelle nostre terre, lo hanno capito soltanto da morto. Federico oggi forse sarebbe felice, ma anche preoccupato. Molto si è fatto, una grande luce si è accesa sulle nostre terre. Ma le azioni più significative sono sempre fatte in silenzio, mentre il potere politico è ancora ancorato nelle mani di chi gioca sulle pelle dei cittadini. Quei cittadini che non sempre si ribellano, che alzano la testa e incitano al cambiamento.

C’è bisogno di speranza, indubbiamente, ma come Federico, è difficile accettare le mezze verità. Siamo messi male, molto. Tra monnezza e amministratori corrotti, le nostre terre si svuotano per la piaga della disoccupazione, e sembra che nulla cambi mai per davvero.

Colletti bianchi e inamidati parlano e declamano, ma poi le strade sono sempre piene di buche, e l’aria diventa irrespirabile. La prepotenza piuttosto che con le armi, si esercita con un’economia succube di interessi e corruzione. Eppure è la terra nostra. Un territorio meraviglioso, per davvero. Quando Vincenzo mi raccontava di Federico, lo immaginavo andare dovunque nelle province di Caserta e Napoli, instancabile, tenace, molte volte solitario. L’idea di dignità che lo animava non conosceva tregua. Sembra quasi un mistero questa forza. Eppure quando ho avuto la fortuna di conoscerla da vicino, era la forza di un uomo onesto che lavorava duramente. I mercati, ogni giorno, la mattina presto, per finire la sera. Difendere il proprio lavoro, la propria dignità. Dignità, una parola forte, anche dopo nove anni. Non credo che Federico volesse fare l’eroe, anzi penso che l’idea non gli piaceva proprio. Non avrebbe mai accettato di celebrarsi come un martire: lottava per la sua dignità, per la dignità del lavoro, dei suoi colleghi dei mercati. Federico è morto perché ha denunciato. Un’azione così semplice eppure così impensabile nove anni fa. Denunciare un vigile urbano corrotto. Essere dalla parte dello Stato. Non avere paura. Facile scriverlo, difficile metterlo in pratica. La vita è un quotidiano lottare perché la prepotenza non prevalga. Devo molto a Federico e al fratello Vincenzo. Hanno lottato entrambi senza mai abbassare la testa. Federico per la dignità e Vincenzo per la verità, senza mai arretrare di un passo. E questo, oggi più che mai è necessario per le nostre terre. Sta tornando un periodo di silenzio e dimenticanza, ormai stiamo passando di moda, ed è proprio in questi momenti che c’è bisogno di ricordare chi ha segnato un percorso, continuarlo, e portarlo a conclusione. Ultimo pensiero, quasi ironico, apro il giornale e dall’inizio di quest’anno sono proibite le buste di plastica per un ambiente più pulito. La stessa battaglia la faceva Federico, anni fa, ma per un ambiente pulito dalla camorra.


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