Federico Aldrovandi non è mai tornato a casa

par Samanta Di Persio
sabato 23 giugno 2012

24 settembre 2005, Federico ha 18 anni e tutta la vita davanti. La mattina a scuola ed il pomeriggio con il pensiero della sera da trascorrere in discoteca. Forse un po’ di alcool, forse una pasticca come fanno tanti ragazzi della sua età per sballarsi. Al rientro, verso le 5 del mattino, si fece lasciare dai sui amici vicino all’ippodromo di Ferrara, voleva fare due passi a piedi. Sicuramente euforico: cantava, barcollava ed era solo. Una donna lo nota, chiama la polizia. Questi arrivano, chiedono i documenti a Federico che purtroppo non li ha con sé.

Lo fermano alle 5:47. Alle 6:10 arriva una chiamata al 118, per quel ragazzo «strano». Quando l’ambulanza giunge sul luogo, Federico è già morto. Per i giornali è morto di overdose, è un albanese, gli amici lo hanno investito. Invece è Federico Aldrovandi, studente diciottenne di Ferrara, incensurato e senza nessuna arma.

I genitori sono preoccupati, il figlio ancora non rientra a casa. Chiamano più volte sul cellulare, senza riceve risposte. Alle 11 Patrizia e Lino vengono a sapere della tragedia. All’obitorio trovano Federico con il viso sfigurato, il sangue alla bocca e un’ecchimosi all’occhio destro. Poi vengono a sapere di due ferite lacero contuse dietro la testa, lo scroto schiacciato, due petecchie – due lividi da compressione – sul collo. Pestato, pestato e poi ancora pestato.

La polizia lo descrive come imbufalito, una vera furia. Quattro agenti, fra cui una donna, contro un adolescente che secondo loro avrebbe voluto farsi del male da solo. Sbatteva la testa sul muro, ma non saranno mai trovate tracce di sangue altrove, se non per terra e sui vestiti indossati dal ragazzo. Dall’autopsia non risulta che avesse ingerito sostanze tossiche così forti da provocare un’overdose. Qualcuno ha visto Federico immobilizzato, a terra. Un agente gli puntava un ginocchio sulla schiena e un manganello sotto la gola, mentre con l’altra mano gli tirava i capelli. Il ragazzo sussultava, faceva salti di mezzo metro. Al suo fianco, una poliziotta si sarebbe vantata: «L’ho tirato giù io, ‘sto stronzo!»

Condannati: in primo e secondo grado. Per Patrizia Moretti: «Condanna sia e condanna resti» Il 21 giugno 2012 anche la Cassazione conferma la condanna a 3 anni e 6 mesi, 3 anni rientrano nell’indulto. Eccesso colposo nella forza (la chiamerei violenza). I poliziotti dal 2005 non sono stati mai sospesi, semplicemente allontanati. E’ vero, si è innocenti fino al terzo grado di giudizio, ma qui si tratta di forze di polizia, di tutori della sicurezza pubblica. La condanna diventa una sentenza storica, ma in un Paese democratico e civile dovrebbe essere la normalità. Gli stessi poliziotti che fanno bene il loro lavoro dovrebbero chiedere l’allontanamento dei colleghi. La famiglia Aldrovandi ha ricevuto minacce, querele per aver avuto la forza di andare avanti. Federico non è mai tornato a casa.

 

La testimonianza di Patrizia Moretti è contenuta nel libro La pena di morte italiana


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