Federalismo: chi ci guadagna e chi ci perde?

par Matteo Scirè
sabato 5 marzo 2011

Dopo lâapprovazione a colpi di maggioranza, sia alla Camera che al Senato, del decreto sul federalismo municipale e il successivo varo del Consiglio dei ministri, lâItalia ha un nuovo assetto fiscale. Un provvedimento che la Lega ha imposto come conditio sine qua non per continuare lâesperienza di governo.

La notizia, purtroppo, è stata trattata dall’informazione dando spazio alla solita bagarre politica e senza spiegare bene il merito del provvedimento­­.

 
Cosa prevede il decreto? Perché tanta insistenza?
Il federalismo, si sa, è il cavallo di battaglia del Carroccio che nel corso degli anni ha attenuato, fino a rimpiazzarle del tutto, le ambizioni secessioniste degli esordi. È il principale obiettivo politico attraverso il quale gli uomini di Bossi intendono trattenere nei territori le risorse derivanti dal pagamento di tasse e imposte, che nelle aree più sviluppate del Paese raggiungono un valore superiore rispetto a quelle più povere. Un argomento di propaganda formidabile in linea con le storiche accuse che la Lega muove a Roma ladrona e al Mezzogiorno.
 
Chi ci guadagna e chi ci perde?

Se fino ad oggi il prelievo fiscale era centralizzato e gli enti locali ricevevano i trasferimenti dallo Stato sulla base della loro spesa storica, adesso ogni comune è dotato di una propria autonomia fiscale. Questo vuol dire che una percentuale di tasse e imposte pagate nel territorio andrà direttamente ai comuni, i quali con tali risorse dovranno provvedere a far funzionare la macchina amministrativa e ad assicurare beni e servizi pubblici ai cittadini. È evidente che le città più ricche potranno contare su un gettito maggiore rispetto a quelle più povere. Proprio per questo motivo il legislatore ha istituito una compartecipazione statale che per tutta la fase transitoria 2011/2013, ovvero fino a quando la riforma non andrà a regime nel 2014, bilancerà le perdite. Anche il meccanismo della compartecipazione segue lo stesso criterio territoriale, per cui saranno sempre i comuni più ricchi ad avere la meglio.

Secondo una proiezione realizzata dalla Cgia di Mestre su alcuni comuni capoluogo a guadagnarci saranno quelli del Nord. Milano, ad esempio, in termini pro-capite otterrà 211 euro in più, Monza 201, Parma 144. Drammatica la situazione al Sud. Napoli perderà 327 euro pro capite, Cosenza 269, Taranto 215 e così via.
 
Nel 2014 cesserà la compartecipazione e quindi lo Stato non trasferirà più risorse ai comuni anche se il prelievo fiscale centrale rimarrà inalterato. Nel frattempo i comuni avranno potuto aumentare le tasse già esistenti da loro incassate e introdurne di nuove. Come la tassa di soggiorno e quella di scopo, da far pagare rispettivamente ai turisti durante la loro permanenza in città e ai cittadini per finanziare opere pubbliche specifiche. Ma la ciliegina sulla torta è l’Imu, ovvero l’imposta municipale propria, che sostituirà l’Ici sulla seconda casa dalla quale sono esentati gli immobili della chiesa, le scuole, gli hotel e le cliniche. Un altro regalo è stato fatto ai grandi proprietari immobiliari che con il meccanismo della cedolare secca sugli affitti potranno scegliere la tassazione più conveniente.
In definitiva, a parte pochi facoltosi privilegiati, i cittadini si troveranno a pagare più tasse, sia allo Stato che al comune, per avere gli stessi servizi.
 
Attenzione. Il federalismo fiscale municipale è solo il primo punto di un disegno di riforma più ampio che nel suo impianto generale prevede anche la perequazione infrastrutturale tra Nord e Sud, la definizione dei costi e dei fabbisogni standard. In altre parole il federalismo dovrebbe essere accompagnato da un programma di investimenti affinchè tutti i cittadini possano usufruire allo stesso modo di beni e servizi pubblici. Su questi provvedimenti però silenzio assoluto da parte del governo e della Lega che ha già annunciato il federalismo fiscale provinciale e quello regionale.

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