Fatti di Palermo : “Ragion di Stato” o “Ragion degli Statali”?

par Bernardo Aiello
giovedì 22 ottobre 2009

Il generale dei Carabinieri Mario Mori, del tentativo di Vito Ciancimino di far aprire una trattativa fra Stato e mafia, ne aveva parlato sia con il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Luciano Violante sia con il Procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli. Questo è quanto da lui dichiarato con atto spontaneo nel processo attualmente a suo carico con l’accusa di aver favorito l’organizzazione criminale non procedendo con tempestività all’arresto del boss Bernardo Provenzano, reso possibile dalle indicazioni del confidente Luigi Ilardo.

A dire il vero il colloquio con il dottor Caselli è avvenuto “fuori tempo massimo”: i contatti con Vito Ciancimino risalgono al 1982, mentre Giancarlo Caselli si è insediato alla Procura di Palermo nel gennaio del 1983. Ed in effetti il generale Mori, per sua stessa ammissione, ha evitato di rendere noto alla Procura di Palermo il suo rapporto confidenziale con Vito Ciancimino perché non riteneva all’epoca l’Ufficio in toto affidabile (scusate se è poco!).
 
Contemporaneamente Vito Ciancimino parlava ripetutamente al telefono con utenze dei Ministeri di Roma e con altri soggetti romani: lo ha accertato il super-consulente delle Procure di mezza Italia Gioacchino Genchi nel corso di una delle sue molteplici attività di intelligence, facendo accertamenti sui tabulati telefonici di un cellulare dell’ex sindaco di Palermo. La qual cosa non sembra, però, di straordinaria importanza perché, all’epoca, Vito Ciancimino era pur sempre un esponente politico di primo piano dell’allora partito di maggioranza relativa ed i suoi contatti romani dovevano essere correnti.
 

Insomma, parlavano tutti ed uno solo scriveva, sui suoi proverbiali “pizzini”: il boss Bernardo Provenzano. Perché se le forze dell’ordine avessero scritto quello che stava loro accadendo al soggetto preposto a quella che vien detta “azione penale”, ossia all’Ufficio della Procura della Repubblica di Palermo, quest’ultima non starebbe certo oggi a far indagini, a distanza di diciassette anni, essendo già a conoscenza di tutto ab origo.
 
Certo fu quasi una guerra, quella di allora, come tutti quanti ben ricordiamo. Ed è forse riduttivo sostenere che la trattativa fra Stato e mafia, se mia vi sia stata, abbia solamente salvato la vita di esponenti di primo piano della politica: le vittime di quella “strategia di tensione” erano simboli della nostra comunità nazionale e gli stragisti sapevano fare le loro scelte con questa finalità (prima Salvo Lima, poi Giovanni Falcone, poi Paolo Borsellino). Insomma le stragi mafiose miravano alla nostra comunità nazionale.
 
Stando così le cose, sarebbe stata del tutto comprensibile una reazione riservata dello Stato, quanto meno border line rispetto alla corrente amministrazione della giustizia: vi sono alcune Istituzioni dello Stato proprio a ciò preposte. E’ la “Ragion di Stato”.
 
Esse, però, e solo esse avrebbero dovuto occuparsene, nei modi e con la professionalità dovute (i.e. senza far torto a nessuno); e sempre secondo il principio della responsabilità nella trasparenza, ovviamente da riservare ad un tempo futuro lontano. Insomma “Ragion di Stato”, e non “Ragion degli Statali”.
 
Stanno veramente così le cose? A sentire il generale Mario Mori, la risposta dovrebbe essere grosso modo positiva, almeno per quanto riguarda il ROS di Palermo. Ai giudici accertare se qualcuno abbia in effetti favorito Provenzano o se qualcuno abbia messo realmente nel pericolo il dottor Borsellino.

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