Facce da Facebook - L’Onda anomala studentesca

par Alessandro Francesconi
venerdì 14 novembre 2008

E ti sei opposto all’onda ed è li che hai capito
che più ti opponi e più ti tira giù. (L.Ligabue)


Questo racconto non può che partire dalle immagini che ancora si stagliano nella mente. Le piazze e le strade del trenta ottobre, i mille cortei che, come fiumi in piena, si riprendevano le città, abbattendo le mura di cartone del Paese docile e silente, di quell’Italia dei sondaggi che le destre hanno sovrapposto al paese reale. Roma era un tripudio di colore ed entusiasmo, di musiche e voci in festa. Il Raccordo Anulare bloccato, il suo asfalto calpestato da decine di migliaia di piedi febbricitanti nella voglia di raggiungere il corteo. Le stazioni della metro che rigurgitavano corpi in festa, i canti ed i cori che correvano anche nel sottosuolo. Viale Cavour era un caleidoscopio di colori e respiri. Di sorrisi. Come davanti a quel ministero bunker circondato dalla gente vera e da loro separato da un fossato abissale che raccontava tutta la crisi di un Paese. Roma era il teatro ospitante dello spettacolo più bello in cui andava in scena una generazione intera, una generazione politica, che si rivela e si incontra. E manifesta. “La gente come noi non molla mai” cantavamo, e ad ogni passo ci riappropriavamo del nostro presente. Ma quella giornata così straordinaria da aver sconvolto tutti, quella giornata in cui l’Onda si è manifestata con tutta la sua forza dirompente, non può bastare a raccontare il grande movimento che sta attraversando l’Italia in lungo e in largo ormai quasi da un mese.

L’Onda è il brodo primordiale in cui tutto si fonde, si contamina, si incontra. E da questo abbraccio, dal miscuglio di corpi, emozioni, culture ed esperienze, nasce la Vita. Emergono nuove forme del conflitto, alfabeti inediti, linguaggi diversi e nuovi modi di comunicare. Rinasce a nuova vita la politica nella riscoperta del senso profondo della trasformazione, perché questo movimento è politica pura e proprio per questo rifiuta e travolge un forma-politica in crisi, che ha perso se stessa ed è ormai incapace di dare risposte e di avere uno sguardo reale sul mondo. Scrollate di dosso le ideologie e le loro gabbie, gli schemi prestabiliti, la forma dialettica preregistrata, una generazione in lotta cerca e scopre se stessa e produce il superamento totale di quella forma. Nella ricerca continua da vita a esperienze di democrazia reale capaci di fare analisi complesse e prendere decisioni in assemblee fiume fatte di migliaia di persone che intervengono, discutono, e fuori dagli schemi dialettici preimpostati costruiscono il loro lessico su un alfabeto che vive nel quotidiano e descrive il presente. Non ci sono richiami al passato, non si guarda indietro. Questo movimento fa fatica a citare persino Genova e se proprio connette la sua esperienza a qualche precedente, guarda al massimo alle mobilitazioni francesi contro il CPE. Ciò non vuol dire disconoscere niente, solo scrivere ciò che siamo senza dover partire dall’essere “post-qualcosa”.
È proprio questa capacità di aderire al proprio tempo che insieme ai linguaggi cambia anche la comunicazione. La protesta corre su internet, ribalta l’asetticità del social networking, ne fa uno strumento. Facebook diventa così un contenitore infinito di gruppi di discussione e coordinamento contro la riforma e mentre i volantini “classici” scompaiono la diffusione si riversa su Youtube, aggregatore di video autoprodotti.


Sui display dei cellulari centinaia di sms danno appuntamenti ed istruzioni, annunciano flash mob continui, la forma di manifestazione più usata in questo mese: capita così di vedere all’improvviso una piazza riempirsi di persone, gli sguardi tradiscono l’attesa. Si indossano velocemente cervelli di gomma piuma ed inizia una “fuga” che attraversa un fetta di città: è teatro di vita. Ma la vera novità non sta nei singoli elementi; sta nella capacità di abbandonare strumenti che nulla hanno a che fare con l’oggi e di saturare e trasformare invece gli ambienti attraversati quotidianamente. Cessa così il rumore dei ciclostili secolari, pachidermi invecchiati proprietari di una meccanica sconosciuta, e si alza il suono dei click del mouse che esplorano la rete e la conquistano byte dopo byte.
In qualche modo è proprio la capacità di cominciare dal qui e ora uno degli elementi di forza dell’Onda. Partire dal proprio essere soggetti in formazione, precariato cognitivo, produttori di sapere, di un sapere ribelle che rimane tale finchè non si asserve alle logiche del mercato. È così che le facoltà occupate diventano spazi realmente liberati, si aprono alla cittadinanza, si lasciano attraversare e si riversano all’esterno. I chiostri delle facoltà diventano luogo di gioco e di incontro mentre alunni degli elementari e genitori ascoltano, fra palloncini colorati e volti truccati, spiegazioni su come la riforma cambierà le loro vite. Le lezioni all’aperto si succedono ovunque, il sapere rompe le mura degli atenei e satura l’aria. Docenti e ricercatori svolgono i loro corsi in piedi sulle scale di un palazzo mentre la frenesia della città si blocca, si interrompe, osservando la ricostruzione di una connessione diretta fra conoscenza e società. Osare e sperimentare diventano le due parole d’ordine di un movimento che sta già mettendo le basi non solo per sconfiggere il progetto di restaurazione della scuola e dell’università ma anche per costruire un modello di formazione diverso. Di questo parlano i mille workshop, i documenti di autoriforma, le lezioni orizzontali e le esperienze di autoformazione, di un modello diverso di trasmissione della conoscenza.

Non c’è paura. Come non c’era paura di fronte a quel Ministero dell’Istruzione diventato il simbolo di un Governo che deve difendersi dai suoi cittadini. Non hanno portato il terrore sperato le minacce del Presidente del Consiglio, né hanno fatto effetto i “consigli” di Cossiga. Ad aver paura oggi è la politica che annega ancora dentro una crisi lunga. Persino le destre sono state costrette a riconoscere il potenziale esplosivo di questo movimento e non si danno pace nel tentativo di fermarlo: minacciano denunce e mandano le loro giovanili di partito a tentare improbabili azioni simboliche dentro le università occupate, ma sono già costretti ad annunciar le prime frenate sulla riforma.

I soggetti organizzati, persino il PD e la CGIL, sanno che possono solo mettersi a servizio di questa grande mobilitazione o anche per loro l’Onda potrebbe trasformarsi in uno Tsunami. Chi ancora arranca, inciampa su se stessa, è invece la sinistra uscita sconfitta dalle elezioni di Aprile che, mentre il mondo si muove, discute sul tasso percentuale di comunismo presente in una pagnotta. Una sinistra che può ritrovare il suo senso ed il suo ruolo solo se sarà capace di abbattere le mura del fortino novecentesco e sciogliersi nell’onda per lasciarsi trasportare e navigare finalmente in mare aperto.

 


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