Eterologa, il governo decide di non decidere
par UAAR - A ragion veduta
lunedì 18 agosto 2014
Chissà quali sono state esattamente le ragioni che hanno portato il Consiglio dei ministri a non discutere la bozza di decreto legge sulla fecondazione eterologa preparata dalla ministra Lorenzin. O meglio, chissà in che proporzione avranno pesato le varie ragioni che non è poi così difficile intuire. Avrà prevalso la riluttanza a farsi carico di un tema indubbiamente scottante, oppure la speranza di poter in qualche modo frenare le aspettative delle coppie che ambiscono a ricorrere alla procreazione medicalmente assistita, per la gioia dei clericali?
O, come dicono le fonti ufficiali, è semplicemente valso il principio secondo cui sui cosiddetti temi etici dovrebbe discutere il Parlamento, magari sull’onda della recente sconfitta al Senato proprio su questo argomento? Fatto sta che alla fine, nonostante la convocazione in fretta e furia di un apposito comitato di esperti, il governo ha deciso che non spetta a lui decidere, delegando la stessa Lorenzin a scrivere ai capigruppo parlamentari per sollecitarli ad “assumere iniziative dirette ad una tempestiva attuazione della sentenza della Consulta”.
Se il governo ha voluto disfarsi della patata bollente è perfettamente comprensibile, e secondo il Corriere della Sera è proprio su questo punto che si è consumata la “sconfessione” della ministra. In particolare il quotidiano ne vede l’origine, o almeno il nodo cruciale, nella polemica sulla compatibilità etnica del donatore innescata appena qualche giorno prima dalla stessa ministra che l’aveva bollata come discriminazione, escludendola quindi dalla bozza di decreto. In effetti non si capisce proprio per quale motivo la ricerca del livello di compatibilità più elevato possa essere deprecabile, e soprattutto non si capisce perché quella etnica in particolare possa essere considerata discriminatoria. Per avere una discriminazione servono un discriminante ma anche un discriminato, e quest’ultimo sembra proprio mancare in questo caso.
Il donatore del gamete non sarebbe sicuramente discriminato, prima di tutto perché anonimo e poi perché non verrebbe escluso come donatore ma verrebbe eventualmente destinato a fecondazioni per coppie maggiormente compatibili. Non sarebbe discriminato nemmeno il futuro figlio perché oggettivamente non c’è ancora; non c’è come bambino, non c’è come feto e non c’è nemmeno come embrione, c’è solo un’idea, un’intenzione. L’intenzione di due genitori di avere un figlio che sia biologico per almeno uno dei due, e che sia quantomeno non troppo distante dall’altro in quanto a caratteri fisici. Intenzione che dovrebbe essere legittima ma che per la Lorenzin diventa aberrante.
Comunque la stessa Lorenzin aveva poi ridimensionato la polemica in un’intervista rilasciata a La Stampa (e pubblicata sul sito istituzionale), spiegando che quella era la sua personale opinione e che nel merito avrebbe dovuto pronunciarsi il Parlamento, lei si era limitata a non prevedere questa ipotesi nella bozza del decreto. E se non è prevista l’ipotesi non esiste nemmeno il divieto. Parola di ministra. Tuttavia, la stessa conseguenza logica non viene presa in considerazione riguardo alla possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa, nel senso che anche in quel caso se non è proibita, come effettivamente non è per via della sentenza della Consulta, non sarebbe nemmeno vietata; su questo punto invece la parola della ministra dice esattamente l’opposto, e cioè che tutto va sospeso fino a quando non sarà stata approvata una legge, il che testimonierebbe che in effetti il rinvio al Parlamento sia stato dettato più dalla voglia di castrare le aspettative degli aspiranti genitori che da tutto il resto. E poiché stiamo parlando di un governo sostenuto da una maggioranza piuttosto variegata, caratterizzato da un equilibrio etico tutt’altro che solido tra la componente conservatrice e quella progressista, la cosa ha senz’altro senso.
In realtà piuttosto che “voglia” sarebbe più corretto definirla “velleità”, perché come abbiamo già avuto modo di spiegare la sentenza della Consulta non ha nessun bisogno di “essere attuata”, per usare le stesse parole della Lorenzin, ma è già pienamente esecutiva poiché le garanzie minime sono già previste dalla legislazione attualmente in vigore. E questo non lo diciamo noi ma lo dice la stessa Consulta, oltre che associazioni e giuristi vari tra cui i promotori del “Manifesto per il futuro della riproduzione assistita” a cui ha dato la propria adesione anche l’Uaar. E tra cui anche Stefano Rodotà, che non esita a definire scandaloso il comportamento di un governo che di fatto viola la sentenza dei guardiani della Costituzione, violando quindi la Costituzione stessa senza nemmeno l’attenuante della buona fede. Il problema è semmai che oltre le garanzie minime attualmente non si va, mentre servirebbero tutta una serie di garanzie accessorie che, seppure non essenziali per la stretta attuazione della legge, sarebbero comunque utili e auspicabili per evitare che molte cose siano lasciate al buon senso dei medici, che non è affatto scontato ci sia. E la cosa triste è che molte di queste garanzie accessorie erano presenti nella bozza di decreto proposta dalla Lorenzin, di fatto sacrificato sull’altare degli interessi di parte ma in partenza minato da previsioni che gli facevano eccedere la natura prettamente tecnica che dovrebbe avere.
Nel frattempo l’unica regione italiana ad aver deliberato in merito, almeno fino a questo momento, è la Toscana. Sembra quasi un paradosso: la regione dei cow boy della maremma rischia di essere anche la sola regione italiana senza il far west dell’eterologa. Infatti, come dice anche l’avvocato Baldini in veste di consulente della Regione, l’intento è proprio quello di “colmare un vuoto tecnico e di garanzie per i cittadini”, aggiungendo che “non è necessaria alcuna ‘via parlamentare’ di recepimento né di modifica delle regole”. Non è dello stesso parere il sottosegretario ciellino Toccafondi che su facebook chiede retoricamente: «Basta per essere ragionevole poter dire: la Toscana è la prima regione in Italia dove sarà possibile sottoporsi alla fecondazione eterologa?». No caro Toccafondi, non basta. Per essere ragionevole basta piuttosto dire che la Toscana sarà la prima regione dove l’eterologa è regolamentata, mentre altrove si potrà farla senza nemmeno uno straccio di linee guida. Poi si può anche non capirlo, ma il sospetto è che si faccia solo finta.
Senza dubbio lo hanno capito diversi centri privati per il trattamento della sterilità e dell’infertilità, che non solo non hanno nessuna intenzione di lasciarsi intimorire da semplici dichiarazioni rilasciate alla stampa, ma paventano addirittura il rischio opposto, e cioè quello di subire una denuncia per aver negato un diritto sancito da una sentenza della Consulta. Insomma, a dispetto di quanto si cerca di fare per mezzo di proclami e avvertimenti che lasciano il tempo che trovano, il quadro è diventato alla fine piuttosto chiaro per (quasi) tutti: non c’è nessuna possibilità di arginare il fenomeno se non tramite decretazione. E visto che l’idea del decreto legge è stata affondata, e il decreto legislativo richiederebbe comunque il coinvolgimento di governo e Parlamento, l’unica alternativa rimasta è un atto amministrativo come il decreto ministeriale che, appunto, potrebbe essere preso in autonomia dal dicastero. Probabilmente è a questa stessa conclusione che è giunta la ministra vista la recente proposta di un tavolo di approfondimento del tema con le regioni, che in tema di sanità possono contare su un’ampia autonomia.
Proposta che suona molto di marcia indietro, ma ben venga; non è mai troppo tardi per ammettere di non aver interpretato le cose in modo corretto, semmai sarebbe stupido incaponirsi pur avendolo capito. Al tavolo è stata invitata perfino la Corte Costituzionale, la quale sembra però aver declinato l’invito in partenza definendolo “ipotesi irrituale”. La Consulta ha già fatto il suo lavoro, ora spetta all’esecutivo trovare una soluzione. Magari nel più breve tempo possibile.