Erdoğan, la resa dei conti del sultano
par Enrico Campofreda
lunedì 17 marzo 2014
Definire, come fa ErdoÄan, il quindicenne Berkin Elvan un terrorista è una provocazione a effetto già usata nella scorsa estate contro i giovani e i meno giovani di Gezi, Taksim e poi dell’intera Istanbul europea e asiatica che gli si ribellava. È il colpo sleale del pugile all’avversario dopo averlo legato in clinch, magari una testata, che se prende l’arcata oculare lo mette nella condizione del gettare la spugna per dissanguamento. A chi lo subisce può però creare una reazione d’orgoglio e nella bagarre voluta e attuata non è detto che il dissanguato alla fine perda il match per abbandono o ko.
Alla vigilia del primo dei tre appuntamenti-verità per lui e per l’Akp - le amministrative che si terranno fra due settimane - si ritrova obiettivo della ripresa di un’infuocata contestazione alla quale risponde coi detestabili colpi di testa che tatticamente hanno la finalità d’infuriare l’avversario e spingerlo su un terreno sempre più violento. Lui sa che lì può contare su temibili apparati repressivi e sul desiderio d’ordine che alberga in una gran massa di cittadini. Inoltre il premier sta esasperando la strategia della divisione della popolazione: chiama in causa lo strabordante elettorato che lo segue da anni e con un briciolo al di sotto del 50% gli fa vivere l’ebrezza di sentirsi intoccabile. Insostituibile.
Confessionalizzare lo scontro di una piazza che le analisi della scorsa estate mostravano estremamente variegata, può diventare una follia tattica che trascinerebbe scampoli di guerriglia siriana in terra turca. Un errore da pugile suonato, non da campione del mondo politico islamico che aveva la presunzione d’incarnare. Essere in un’Europa immersa nei problemi di gestione economico-politica o in un Medio Oriente scosso da rivolte e conflitti è il bivio in cui la Turchia si dibatte da anni fra sogni, scelte proprie e percorsi indotti. Seguirne strade dettate da un autoritarismo reazionario mutuato dal kemalismo militarista e fascista, che agli esordi dell’esperienza erdoÄaniana perseguitavano lui e i suoi sodali, è un’insensata immedesimazione nel carnefice. In politica accade spesso che chi ha grandi progetti per la collettività finisca soffocato dalla presunzione di disegni divenuti megalomanie soggettive. Forse per ErdoÄan inizia a suonare la campana del declino. E c’è chi ritiene che i milioni e milioni tenuti in casa preparassero fughe personali e non solo di capitali.
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