Entra in scena Fabrizio Barca, cerchiamo di capire chi è

par Isegoria
giovedì 18 aprile 2013

Come interpretare la "svolta" di Fabrizio Barca?

Prima, una dovuta premessa: non per vantarmi, ma tre mesi fa sostenevo in un articolo che “il M5S contribuirà alla formazione di un bipolarismo accettabile, con un vero centrosinistra a fronteggiare il centrodestra”, e per questo motivo consigliavo di votarlo. L’iniziativa di Fabrizio Barca, che mi lascia favorevolmente impressionato (giacché non credevo che esistesse un “politico” capace di citare Sen, Dewey e Rescigno con cognizione di causa), avvera la mia previsione ma mi lascia anche molti dubbi, molte domande. Comunque, essenzialmente, il suo progetto è trasformare il PD ispirandosi al modello M5S, ma preservando competenza e struttura verticale. 

Innanzitutto presentiamo Fabrizio Barca, presidente del Comitato Politiche Territoriali dell’OCSE e Ministro per la Coesione Territoriale del governo Monti (nonché figlio del partigiano comunista Luciano Barca). Dice di aver votato SEL nel 2008. Senza giri di parole, diciamo che è l’esempio classico di “post-comunista”. Stiamo parlando quindi di un progetto di “sinistra moderata”, ma comunque di un qualcosa “a sinistra del PD”, partito che da tempo ha rinunciato a fare “qualcosa di sinistra”. 

Il suo documento di 55 pagine si trova qui.

Tutto parte dal 25% del M5S, vediamo in che senso. Noi sappiamo che l’Italia è sempre stato un paese a sovranità limitata, prima per la Guerra Fredda, poi per l’Unione Europea. Ciò vuol dire che vi è sempre stato un “pacchetto di leggi” non soggette al voto popolare (doveri verso gli USA – doveri verso l’Europa, al dil à dell’opinione della maggioranza degli italiani). Come impedire che il popolo si esprima su quel pacchetto, su quei progetti? Con tre mezzi: media – magistratura – violenza. Nella Prima Repubblica i primi due non bastarono e si dovette ricorrere al terzo. Nella Seconda Repubblica, decisamente meno “calda”, sono bastati i primi due. 

Nell’ultimo ventennio i “doveri” italiani sono stati onorati essenzialmente grazie al bipolarismo berlusconista (berlusconiani vs antiberlusconiani). Si è costituita così la grande coalizione (PD+PDL o denominazioni precedenti), il partito unico dell’euro, delle privatizzazioni, dell’austerità, delle tasse, del precariato, delle guerre eccetera eccetera.

L’elettore contrario a uno o più di questi grandi temi è stato comunque condizionato a votare la grande coalizione (scegliendo al suo interno tra PD e PDL) da due fattori: il duopolio mediatico (televisivo: Rai/Mediaset; editoriale: De Benedetti/Berlusconi) che dipingeva Berlusconi alternativamente come Bene Assoluto o come Male Assoluto, convincendo in ogni caso l’elettore della priorità politica del fenomeno Berlusconi (contro o a favore); il sistema elettorale, in quanto sia il Mattarellum sia il Porcellum hanno spinto la scelta elettorale in direzione bipolarista. Naturalmente perché il tutto funzionasse è stato prima necessario che il PD consentisse a Berlusconi di esistere, per cui prima hanno sbadatamente dimenticato di dichiararne l’ovvia ineleggibilità, poi è clamorosamente sfuggito loro di fare una leggina contro il conflitto di interessi o al limite sulle concessioni televisive

Fin qui andava tutto bene. Poi è successo il patatrac. La coppia Grillo-Casaleggio ha saputo raccogliere un 25% di elettorato al di fuori del circuito dei media dominanti, in aperto contrasto con l’equilibrio bipolare collaudato. Nel loro movimento convivono sovranisti anti-euro ed euroriformisti, ambientalisti e pacifisti, addirittura fascisti e anticapitalisti. Sia chiaro: ho un giudizio sostanzialmente negativo del M5S, ma ciò non mi impedisce di analizzare i fatti. Per quanto mi sforzi, non riesco a vedere “oscuri disegni” dietro al M5S (se non l’ovvio ritorno economico per l’imprenditore Casaleggio), benché molti si stiano sforzando di trovarli. I disegni hanno bisogno di organizzazione. Nel M5S vedo solo caos e volatilità. Il suo difetto è proprio questo: è troppo popolare. Purtroppo, la differenza tra analisi politica e facile complottismo è difficilmente distinguibile per il “lettore medio”. 

Necessità e possibilità della svolta di Barca: a questo punto dobbiamo rispondere a due domande: 

- perché la svolta di Barca è necessaria per il PD?

- perché la svolta di Barca è possibile per il PD?

La svolta di Barca è necessaria per il PD perché l’irruzione del M5S ha definitivamente segnato la fine del “centrosinistra” così come lo abbiamo conosciuto in questi 20 anni. Il M5S è stata la risposta alla crisi della rappresentanza causata dal bipolarismo. PD e PDL non rappresentano nessuno, se non alti ambienti finanziari-bancari-industriali. Ovviamente, grazie al controllo dei media riescono ancora a trascinarsi dietro l’elettorato più ingenuotto, ma l’inganno sta per finire, non può durare a lungo. 

Per far capire meglio: poniamo che l’imponente campagna mediatica scatenata contro il M5S raggiunga i suoi obiettivi (molto probabile) => alle prossime elezioni il M5S perderà molti voti => quindi potrà stare all’opposizione senza responsabilità di governo => potrà allora fare quello che sa fare meglio: urlare => in tal modo recupererà una credibilità per l’elettorato che si sente sottorappresentato => i suoi voti aumenteranno di nuovo. 

Insomma: che sia nel breve o nel lungo periodo, il “centrosinistra” così come lo conosciamo è destinato a scomparire. Il PD può rispondere solo in un modo: deve diventare davvero centrosinistra, deve tornare ad essere rappresentativo. Per raggiungere questo difficile obiettivo Barca si propone di “rompere l’equilibrio perverso di élites estrattive, non solo rinnovandole ma anche facendo loro cambiare la testa, cioè convincendole a giocare una partita che è di interesse generale”. 

Ma recuperare rappresentatività vuol dire rappresentare giovani, disoccupati, lavoratori, piccoli imprenditori. Ciò implica la messa in discussione del “paradigma dell’austerità” (vedi Brancaccio/Passarella, L’austerità è di destra), quindi dei vincoli europei. In sintesi, il paradigma dell’austerità è quel paradigma macroeconomico che l’UE impone ai suoi stati membri, basato principalmente sulla convinzione che le priorità assolute siano la riduzione del debito pubblico e il pareggio di bilancio.

Per i cosiddetti PIGS (Portogallo – Italia – Grecia – Spagna), ciò è causa di contrazione dei redditi e impoverimento progressivo della classe media, in pratica di recessione. Recessione considerata “necessaria e transitoria” (parole di Draghi), in quanto parallele misure di deregulation flessibilità consentiranno – si dice – alle forze libere del mercato di autoregolarsi rimettendo in moto la macchina sociale. In ogni caso il “trentennio glorioso” della socialdemocrazia (Hobsbawm) è considerato insostenibile irripetibile

Al di là della discutibilità di questo paradigma, le élite sono oggi di fronte a un problema serio (non solo in Italia): come poter prendere i voti di chi si vuole programmaticamente impoverire? Finora ha funzionato il metodo classico: l’inganno mediatico. In estrema ratio: il governo tecnico. Ma il sottile equilibrio si sta rompendo (se non si è già rotto). Il PD, che in questi anni è stato l’agente fedele della pianificazione europea, fondamentale per emarginare i paradigmi alternativi della sinistra, si trova ora davanti a un muro: o accetta di essere almeno “un pochino” di sinistra, ripensando l’austerità, o è destinato a scomparire. 

Ma non abbiamo detto che il paradigma dell’austerità appartiene a quel “pacchetto” che non può essere discusso, che non è sottoponibile all’arena democratica? Però dobbiamo tenere presente che lo schema élite transnazionali che ordinano => élite nazionali che eseguono non è rigido come comunemente si crede. Molti osservatori fanno notare che le stesse élites transnazionali si trovano oggi in una fase di ripensamento.

Esiste attualmente un margine di manovra per i partiti nazionali. È proprio grazie a ciò che un’iniziativa come quella di Barca può esistere (e questa è la risposta alla seconda domanda di sopra). Ecco così spiegata la strana apertura dei grandi media, nell’ultimo anno, verso tutta una schiera di economisti “eterodossi” (certo non Vasapollo o La Grassa, ma almeno Brancaccio, Sapelli, Bagnai, Napoleoni, Fazi eccetera). Tutto ciò è confermato da quanto scrive Barca: “È evidente che l’ingovernabilità italiana deriva anche dalle incertezze dell’Unione Europea, dalla sua incapacità di fronteggiare la seconda più grave crisi della storia del capitalismo, mettendo in discussione i paradigmi errati che l’hanno indotta”. 

I punti economici del programma: Barca non si oppone all’austerità, vuole soltanto ammorbidirla (immancabile il solito riferimento al celebre discorso di Berlinguer). Propone il passaggio da un’austerità tecnocratica-rigida ad una deliberativa-flessibile. Cioè: basta con le imposizioni dall’alto; rigore sì, ma ragionato e con un margine di deficit. In generale, il suo modello è a metà tra la socialdemocrazia (di cui critica l’insostenibilità) e lo stato minimo (di cui critica privatizzazioni e stock option). Nell’Addendum finale troviamo generici principi egalitari, per un nuovo sindacalismo e la progressività delle imposte. 

La “nuova forma partito”: democrazia deliberativa. Barca scrive: “Se la sinistra saprà rinnovare il suo partito, le forze politiche opposte saranno spinte a rinnovarsi anch’esse, dando vita ad una sfida alta, necessaria per il rilancio del paese”. Barca non si accorge che lo stesso PD (attraverso di lui) è stato appunto “spinto a rinnovarsi” dalla “nuova forma partito” del M5S. In ogni caso, veniamo a quella che è la parte migliore del documento di Barca. 

Per recuperare la rappresentatività è necessario proseguire sulla strada tracciata dal M5S: democrazia interna (si, lo so che i media vi dicono l’opposto, ma attualmente il M5S, sebbene poco democratico, è il più democratico partito italiano – figuratevi gli altri). Barca propone una via di mezzo tra Monti e Grillo (tra Leviathan e Behemoth, direbbe Giulio Sapelli), tra tecnocrazia e democrazia diretta: la democrazia deliberativa (che lui chiama, con Sabel, “sperimentalismo democratico”). La democrazia deliberativa unisce la decisionalità della rappresentanza alla partecipazione diretta: in pratica si fa in modo che la partecipazione non comprometta la competenza e che la competenza non degeneri in élite. Purtroppo una simile forma non è semplice da concretizzare. Vediamo cosa propone Barca: 

Mobilitazione cognitiva: creazione di uno “spazio” di confronto e conflitto “attraverso la Rete”, che colleghi gli iscritti ai dirigenti. Tale spazio non deve servire agli iscritti per sfogarsi (come già adesso per il PD), ma deve servire ad essi per influire sulla “linea” del partito (non viene specificato come). 

Insufficienza delle primarie: esse sono un rituale, una finzione, uno strumento lobbistico e leaderistico. Il partito deve essere scalabile, ma sinceramente non si riesce a capire quale meccanismo proponga per il ricambio dei vertici. Propone il vincolo di mandato per i gruppi parlamentari (Grillo non è l’unico pazzo, a quanto pare). Differenza tra eletti in Parlamento e dirigenti del partito. 

Principio di territorialitàBarca capisce che bisogna competere con il M5S a livello di territorio. Si dimentica spesso di dire infatti che a livello locale la democrazia diretta del M5S funziona davvero, ed è qualcosa di storico. Anche se a livello nazionale potrà perdere voti, a livello comunale e regionale il M5S è destinato a crescere. 

Contro il catoblepismoovvero, separazione tra partito e Stato (nei suoi enti) per porre fine alla partitocrazia. Forte riduzione del finanziamento pubblico. Quindi: né partito scuola di vita (PCI), né partito-apparato (PD), né partito liquido (M5S), ma partito palestra

Concludendo: l’elettore di centrosinistra che si aspetta grandi cose da questa “nuova forma partito” rimarrà deluso. Il cambiamento sarà come al solito soltanto apparente

Per chi sa già dall’inizio che si tratta di un cambiamento apparente e non aveva bisogno che scrivessi tutto questo papiro per concludere con un’ovvietà, consiglio di non sottovalutare una cosa: le democrazie, anche se tendenzialmente elitarie, non sono dittature. Le élites, per operare, hanno bisogno della legittimazione popolare. Tale legittimazione, insegnano i sociologi, si crea con il benessere e si perde con la crisi sociale. È quindi possibile che pur di non perdere la legittimazione le élites saranno disposte a “cambiare la testa” (come si auspica Barca) e ad intraprendere un rinnovamento non soltanto apparente. Personalmente lascerei aperta questa possibilità.


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