Enrico Cuccia e Indro Montanelli: incontri ravvicinati del terzo tipo

par Francesca Pitta
lunedì 27 aprile 2009

Ho avuto la fortuna di incontrare Enrico Cuccia e Indro Montanelli nello stesso anno a Milano. Era il 1995. Cuccia era saldo in sella alla presidenza di Mediobanca, Montanelli avrebbe, di li a poco, lasciato la direzione de La Voce. Nessun merito professionale, solo meriti familiari. Stasera, alla luce del centenario della nascita di Montanelli, penso valga la pena raccontare questi due incontri davvero speciali. Anche allora, li avevo considerati tali.

L’incontro con Cuccia, devo ammettere che non lo avevo affatto messo in conto. Per fatti ereditari avevo nelle mani un libro di racconti di Andrè Gide, ricco di appunti e sottolineato da chi me la aveva consegnato. Sapevo che Cuccia amava Gide e aveva letto tutto il suo repertorio e sapevo che, a chi me lo consegnò, lui era particolarmente legato. Feci un pacchetto e, con due righe, lo inviai al Presidente di Mediobanca. Mai mi sarei aspettata che lui mi chiedesse un appuntamento. Ero ben a conoscenza che Cuccia non riceveva mai giornalisti. Sapevo bene che quell’incontro era un’eccezione.

L’ingresso a Mediobanca fu da copione. Immaginatevi Le Iene, esattamente così. Sicurezza che ti accoglie. Ti accompagna fino all’ingresso principale. Poi altri ti prelevano e ti portano all’ascensore. Fuori altre guardie giurate che ti seguono e infine la segretaria personale che ti dice "prego, si accomodi" e apre una porta: quella della sala riunioni. Immensa. Una boiserie ricoperta di arazzi. Sul fondo, alla mia sinistra, un minuscolo passaggio. Di lì, dopo circa dieci minuti, vedo uscire un uomo piccolo, elegantissimo, dalla voce potente. E’ Enrico Cuccia. Mi squadra dalla testa ai piedi (ancora oggi so come ero vestita) e si avvicina. Ma non si siede dall’altra parte del chilometrico tavolo che occupava la sala. No, mi sposta la sedia, mi indica il posto e poi si accomoda lì, accanto a me. E, in quel momentio, inizia il mio vero esame da giornalista.

Cuccia sapeva tutto, ovviamente, sulla stampa. Italiana ed estera. Mi chiese cosa ne pensavo, quali fossero i quotidiani che mi piacevano, badate bene, non quelli che leggevo. Mi chiese anche, allora lavoravo in un allegato di un noto settimanale, se mi sarebbe interessato lavorare in un quotidiano. Ero di fronte all’uomo più potente d’Italia. Risposi la verità: "non sono pronta". Non un cenno del volto. Poi, passammo alla cultura generale. Qui, mi sembrò l’esame di maturità. Ricordo, al di la del fascino indiscutibile, mio malgrado, dell’uomo, che mi disse una frase: "la letteratura italiana si è fermata a Gadda. E gli allegati dei quotidiani non li ho mai capiti".


Lo studio di Indro Montanelli a La Voce era minuscolo. Molti libri e una postazione vecchio stile. Ma lo stile dei due uomini mi sembrò identico. Stessa cultura, stessa ottima educazione, stessa attenzione cortese ma ricca di rispetto nei confronti di una giovane donna. Stessa abitudine nell’avere a che fare con il potere.

Montanelli aveva lavorato con Mario Borsa all’inizio della direzione del Corriere affidata a quest’ultimo subito dopo la Liberazione. Non correva buon sangue fra i due. Lo sapevo perfettamente. Eppure qualcosa, dalla pancia, mi diceva che avevo fatto bene a chiedere quell’incontro. Borsa non perdonava a Montanelli le sue antiche antiche simpatie fasciste. Montanelli, da buon "anarchico", le sue rigidità.

Trascorsi con il Direttore circa un’ora. E in quell’ora Montanelli mi parlò a lungo di Borsa e della sua libertà di pensiero. Ebbi come l’impressione che, a distanza di tanti anni, forse, si erano come compresi. Ascoltando in queste ore spezzoni di frame tratti dai discorsi di Montanelli ne ho la certezza.

Se c’è un erede di quel libero pensiero che Borsa cercò di portare avanti negli anni della sua militanza democratica , questo è sicuramente Indro Montanelli. Mai uomini furono così lontani. Mai uomini sono stati cosi vicini.

Molti colleghi mi chiesero, dopo la morte sia di Cuccia che di Montanelli, di raccontare questi due incontri. Non mi sembrava il caso. Oggi, ho cambiato idea.


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