Energia dai ghiacci

par francesco venuto
martedì 30 giugno 2009

Il petrolio, lo sentiamo ripetere in continuazione, non durerà ancora per molto. L’umanità, per continuare a consumare al ritmo di crescita attuale, avrà a breve un massiccio bisogno di nuove fonti energetiche.

 
Così, se da un lato si parla di energie alternative e di fonti non inquinanti, dall’altro l’attaccamento ai combustibili fossili acceca aziende e governi che investono forse troppo poco nella ricerca.
 
Esiste anche un’area intermedia tra i combustibili fossili tradizionali e le fonti alternative. I clatrati di metano si inseriscono in questa zona di confine.
 
Facciamo un passo indietro: negli anni ’70 in Siberia ingeneri russi iniziarono ad estrarre dal suolo del gas naturale intrappolato sotto il permafrost. Stimarono di terminare le riserve del sito entro il decennio, ma non era così. Con grande sopresa il metano continuava ad abbondare.
 
Scoprirono che non proveniva da un altro deposito collegato al primo, ma il segreto era nel permafrost: stavano utilizzando - per primi e inconsapevolmente - il gas imprigionato in clatrati di metano.
 
In pratica le molecole di metano restano intrappolate tra cristalli di ghiaccio, in una sorta di "granita" combustibile.

L’origine è sempre quella fossile, il gas deriva dalla decomposizione di piante, attraversa rocce porose, e se trova temperature attorno allo 0°C e pressioni dell’ordine di 50 atmosfere viene intrappolato in cristalli di ghiaccio.
 
Pressioni e temperature del genere si trovano generalmente in due setting: sotto il permafrost artico e sotto gli oceani.

Vari governi (Cina, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti tra gli altri) stanno investendo in programmi di ricerca per quantificare e identificare i depositi esistenti e per valutare la fattibilità commerciale.
 
Un progetto statunitense ha già trovato in Alaska ingenti riserve di metano in questa forma, impacchettato a colmare l’80% dello spazio libero tra i cristalli di ghiaccio. Tim Collett, specialista del team a cui si deve la scoperta, stima che solo in Alaska potrebbero esserci tra 0,7 e 4,4 trilioni di metri cubi di clatrati di metano. Una tale quantità di gas potrebbe riscaldare 100 milioni di case per un decennio, ma in realtà al momento non si è in grado di valutare quanto di quel gas potrebbe essere sfruttato industrialmente, e con che costi.
 
Potrebbe essere un aiuto risolutivo per la crisi energetica? Le opinioni sono discordanti.
 
Bruciare metano emette metà dell’anidride carbonica sprigionata dalla cobustione del carbone.
 
Sarebbe un aiuto - anche se non paragonabile a quello dato da fonti rinnovabili - per la riduzione della quantità di CO2.
 
Dall’altro lato però il metano può contribuire al surriscaldamento globale in maniera molto più grave dell’anidride carbonica, e non è detto che nello sfruttamento della nuova risorsa si riesca a contenere totalmente l’immissione nell’atmosfera di quantità del gas estratto.
 
C’è poi un altro rischio: i clatrati vivono in una condizione di precario equilibrio, che potrebbe essere spezzato dall’operazione di estrazione. Il gas estratto potrebbe rompere, con la sua pressione, i cristalli vicini, potenzialmente in una reazione a catena che sfocerebbe in una sorta di eruzione di metano. Geir Erlsand dell’Università di Bergen (Norvegia) afferma che l’estrazione aumenta il rischio di episodi di questo tipo, anche su larga scala e con potenziali conseguenze catastrofiche, come tsunami.
 
In realtà nulla è certo, e forse la ricerca aiuterà a breve a capire quanto questa risorsa potrebbe aiutare a risolvere la crisi energetica, e a che prezzo.


Per approfondire:
http://www.newscientist.com/article...
http://fossil.energy.gov/programs/o...

Leggi l'articolo completo e i commenti