Emma Bonino for President?

par Aldo Giannuli
lunedì 15 aprile 2013

Sta prendendo rapidamente consistenza una candidatura Bonino al Quirinale: a parlarne per prima è stata Mara Carfagna, sottolineando quanto sarebbe auspicabile una donna al Quirinale. Da allora si è iniziato a parlarne discretamente e, nei sondaggi on line del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, la Bonino è nettamente in testa alla graduatoria con gradimenti oltre il 30% staccando nettamente il secondo (Prodi, che non raggiunge il 15%).

Anche esponenti politici delle due sponde hanno preso a parlarne con una certa deferenza, ricordandone le battaglie per i diritti civili, il garantismo, la competenza dimostrata negli incarichi internazionali (fu commissario europeo e docente all’Università americana del Cairo). Per di più non è mai stata sfiorata da scandali e, essendo stata parlamentare sia con il centro-destra (che la indicò come Commissario Europeo) che con il centro-sinistra (per il quale fu ministro per il Commercio estero prima, poi vice presidente del Senato, candidata alla Presidenza della Regione Lazio dopo ancora) può essere fatta passare per abbastanza di destra o abbastanza di sinistra o, anche, abbastanza indipendente, a seconda dei gusti di chi ascolta.

Peraltro la Bonino sarebbe un candidato perfetto per molti altri aspetti:

-essendo di inconcussa fede filoamericana, darebbe ottime garanzie di non creare problemi né in caso di “missioni di pace”, né in caso di opportune grazie come quella a Romano (ultimo regalo di Napolitano);

-essendo di cristallina ispirazione neoliberista, potrebbe proseguire nell’illuminata opera di “ufficiale di collegamento” con la Bce inaugurata da Napolitano

-essendo da sempre garantista e sostenitrice della separazione delle carriere fra magistratura inquirente e giudicante, darebbe garanzie anche di facilitare una adeguata legge di riforma della giustizia (in una occasione fu possibilista anche sull’elettività del pubblico ministero: chissà in Sicilia come sarebbero contenti!)

Certo, non è una candidatura facile da sostenere: bisognerebbe superare le opposizioni dei cattolici, che la vedono come il fumo negli occhi. Poi, i radicali non sono presenti in Parlamento (ma questo, in tempi di protesta può diventare un vantaggio) e, soprattutto, hanno preso solo lo 0,3% dei voti alle ultime elezioni. Guai a ricordare questo dato a Pannella: sarebbe capace di spaccare tutto quello che gli capita a tiro; però, a pensarci bene: che strano che una persona che goda di gradimenti intorno al 35% nei sondaggi, poi non riesca a trasferire almeno un ventesimo di quel consenso nelle elezioni: misteri della politica e dei sondaggi!

Insomma, un candidato che non ha dietro di sé un forte partito e nemmeno una corrente di partito, può avere qualche speranza di farcela?

Sono tempi difficili in cui molte cose, normalmente impossibili, possono accadere e, chissà, forse anche questa volta. La situazione è di stallo: sulla carta il centro-sinistra ha poco meno dei 504 voti necessari, ma è tutt’altro che un monolite ed ospita troppi aspiranti presidenti (Prodi, Dalema, Amato, Marini, Grasso, Rodotà ecc.), tutti spalleggiati da schiere più o meno folte di parlamentari pronti a trasformarsi in franchi tiratori.

E poi, vai a trovare un candidato che piaccia tanto a Vendola quanto a Renzi! Ma, soprattutto, dovendo comunque cercare un alleato per fare cifra tonda a chi rivolgersi? Con il M5s non si riesce a parlare e non sai cosa faranno e se saranno compatti. Il centro non ha molti voti da offrire ma, soprattutto, c’è la non sopita aspirazione di Monti. C’è poco da fare: l’unica coalizione che possa reggere lo scontro potendo sopportare anche salassi di franchi tiratori è quella fra Pd e Pdl. Ma i candidati di compromesso possibili (Letta, Amato, Marini, Dalema ecc.) sanno tutti di “vecchia politica” e, in tempi di rivolta come questi, la cosa potrebbe riuscire nelle aule, ma diventare un boomerang fuori del Palazzo.

E poi il nodo è tutto politico: il Cavaliere l’accordo è disposto a farlo ma in cambio di precise garanzie per la sua situazione giudiziaria. L’eletto dovrebbe garantire (tramite la sua posizione in Csm o la concessione di una grazia) un “atterraggio morbido” al Cavaliere all’uscita dalle aule di giustizia. Ma il Pd, che ha fatto della campagna contro le malefatte del Cavaliere il cemento della sua costruzione, ora dovrebbe eleggere un candidato che faccia quello che Berlusconi non è riuscito a fare come le sue “leggi ad personam”: come fa ad accettarlo? Se un D’Alema o un Amato concedessero una grazia o si sapesse di un loro intervento sul Csm si capirebbe subito che dietro c’è un accordo fra i due partiti. Il Pd ne sarebbe travolto.

Però… però… che ne dite se a fare la grazia o l’intervento in Csm o a spingere per una certa riforma della giustizia fosse non un politico di lungo corso, ma una persona diversa? Per esempio, uno che, pur essendo stato per 30 anni a Palazzo, goda dell’immagine di persona estranea al Palazzo, che ha un coerentissimo passato garantista, sino ad aver votato contro l’autorizzazione a procedere a uno come Cosentino, una persona che goda fama di grande indipendenza e che nessuno potrebbe sospettare di obbedienza al Pd.

Forse la Carfagna, più che esprimere un suo pensiero, era solo un messaggero. Che ne dite?


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