Emergenza carceri: una piccola rivoluzione in arrivo

par Segnali di fumo
martedì 9 luglio 2013

Finalmente, dopo anni in cui l’Unione Europea lo chiedeva (e il buon senso civico lo imponeva), l’Italia è riuscita a varare un decreto legge grazie al quale sembra essere stata tracciata la strada per un risanamento della situazione delle carceri italiane. Attualmente le patrie galere ospitano circa 70.000 detenuti a fronte di una capienza di 47.000 persone. Anche la persona meno ferrata in matematica capisce che ci sono circa 20.000 persone in più rispetto a quelle che le celle italiane sono effettivamente in grado di ospitare.

E come vengono alloggiate queste 20.000 persone? Molto semplicemente si trasformano celle omologate per tre detenuti in celle adibite a ben 7 detenuti, comprando brandine smontabili per la notte che, durante il giorno, sono prontamente ripiegate e addossate alle pareti. Una situazione che si pone in palese contrasto con quanto stabilito dall’articolo 6 della Legge n° 354/75 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà):

 “I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti. Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti. Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell’istituto non lo consenta. Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto”.

Quanto stabilito dalle norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà ha come scopo quello di garantire che “il trattamento penitenziario sia conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona” (art. 1 comma 1). Orbene, parlare di “umanità” e “rispetto della dignità” a fronte delle attuali condizioni in cui si trovano gli istituti penitenziari italiani è assolutamente stridente. Questa non è certamente la sede per riportare le singole disposizioni contenute all’interno dell’ordinamento penitenziario, perciò vi rimando al seguente link in modo che possiate farvi personalmente un’idea degli standard che il nostro Paese avrebbe dovuto adottare a livello penitenziario.

Tali standard non sono mai stati presi in considerazione rimanendo lettera morta all’interno di un testo di legge. Così, quando l’Italia è entrata nell’Unione Europea, ha per la prima volta dovuto prendere coscienza di questa sua grave lacuna e ha cominciato ad adottare una serie di strumenti che garantissero una riduzione della popolazione carceraria. L’emanazione della sentenza Torreggiani, con cui la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro Paese al pagamento di una multa per le condizioni di vita in cui versano i detenuti italiani, ha sicuramente accelerato tale processo riformatore.

Il caso Torreggiani veniva sottoposto all’attenzione della CEDU nell’agosto del 2009 da parte di sette ricorrenti contro lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea, ossia la proibizione di trattamenti inumani e degradanti. Dal ricorso risultava che ognuno di loro aveva a propria disposizione meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha considerato che non solo lo spazio vitale indicato non sia conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza, ma che tale situazione detentiva sia aggravata dalle generali condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, mancanza di ventilazione e luce.

Tali condizioni, secondo la CEDU, sono di per sé idonee a costituire una violazione degli standard minimi di vivibilità determinando una situazione di vita degradante per i detenuti. Per tutti questi motivi i giudici europei hanno ritenuto di condannare l’Italia al risarcimento per i danni morali subiti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione per una somma di circa 100.000 € per tutti i ricorrenti.

L’Italia, ben consapevole che una simile sentenza avrebbe comportato una serie innumerevoli di ricorsi e quindi di risarcimenti danni, è corsa ai ripari e ha posto tra le sue priorità la tanto richiesta riforma dell’ordinamento penitenziario. Il decreto legge di cui oggi si parla, dunque, non è altro che il frutto di queste vicende. Ma cosa prevede questo nuovo provvedimento?

Una piccola rivoluzione che permetterà entro il 2014 di togliere dalle carceri circa 4.000/5.000 detenuti. Il governo italiano è ben consapevole del fatto che tale cifra è assolutamente irrisoria se paragonata ai 20.000 detenuti eccedenti. Per questo motivo, il ministro Cancellieri sta studiando la possibilità di un’amnistia che garantisca nell’immediato l’uscita di almeno 5.000 detenuti.

Personalmente non ho mai creduto nelle amnistie in quanto strumenti in grado di risolvere il problema nell’immediatezza senza aver alcuna capacità di guardare al futuro. Non a caso, già in passato, i governi italiani hanno adottato tale misura ma, ancora oggi, parliamo di “emergenza carceri”. Tuttavia se un’amnistia ha lo scopo di garantire un po’ di respiro all’ordinamento penitenziario italiano nell’attesa che le misure del decreto legge comincino a produrre i loro frutti, credo che sia un valido supplemento a una riforma più sostanziale quale quella indicata nell’attuale decreto legge.

 

Di Marcello Bonazzi

 


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