Eluana e l’Italia che non muore

par Tonino Ferro
martedì 10 febbraio 2009

Eluana è morta. Ergo, fino alle 8 del 9 febbraio è stata viva. Eluana è una donna, la cui vita vale quanto la vita di ogni donna, fino a prova contraria.

Eluana è morta. Ergo, fino alle 8 del 9 febbraio è stata viva.
Eluana è una donna, la cui vita vale quanto la vita di ogni donna, fino a prova contraria. Le ore di trasmissioni, le risme di carta, le pagine virtuali, in questo paese senza misura, sembrano dire il contrario. La vita di Eluana non vale quanto una vita, vale di più. Il grottesco di questa constatazione sta nel fatto che lei non lo sa. Non lo sapeva neanche ieri. Non lo sapeva nei giorni passati. Eluana, una donna morente, ha scomodato l’ira del presidente della Repubblica; ha fatto capire a tutti, quanto il nostro presidente del Consiglio sia in grado di amare; ha dato occasione ai preti di ricordare ai cittadini di questo stato, dove sta la ragione. Gli intellettuali di sinistra hanno riempito le piazze. I cittadini, per l’occasione, hanno imparato ad usare qualsiasi mezzo, pur di arrivare al cuore di quella donna.

Poco importa la risposta di quel cuore. Poco importano gli arzigogoli dei benpensanti: per qualcuno Eluana ha ascoltato; per qualcuno no. A vederla così c’è da complimentarsi, a prescindere dal pensiero di ognuno, con la morale di questo paese: una vita, una sola vita in bilico, è stata  in grado di fermare tutto: politica, economia (anche la crisi, in questi giorni, è stata più dolce), società civile, chiesa cattolica (sarebbe stato bello dire religione, ma a nessuno è venuto in mente di chiedere ad un musulmano, o ad un’induista, di esprimere un pensiero. Alla faccia della nuova e della vecchia Costituzione). Per qualche giorno siamo piombati in un’epoca neoromantica. E c’è da pensare che ci staremo ancora per un po’. Almeno fin quando l’agenda politica ne avrà bisogno. Bella l’Italia!
Poi, mentre Vespa sembra Ruini, e Mentana un disobbediente. Mentre la notte ti riporta al reale, digiti “morti” su google. Basta passare dal singolare al plurale per scoprire che un operaio è stato ammazzato sull’autostrada Milano-Brescia. Ti sbatti, per capire chi è. Nessun sito di nessun giornale ha spazio per lui. Non si trova il nome. Ma perché si dovrebbe? Mica qualcuno ha staccato la spina. Normalità.


Torni indietro, ricarichi la pagina, e ancora: 2 ragazzi, molto più giovani di Eluana e molto più vivi di lei, morti ammazzati. Camorristi. Normalità.
Forse c’è qualcosa che non torna.

Eluana non meritava di vivere la sua morte in questo stato. Le mogli degli operai, non meritano di vivere le loro morti nel nostro stato. Le mamme di quei ragazzi non meritano di vivere le loro morti nel nostro stato. Nel nostro stato, nel nostra costituzione morale, la morte non è accettata. Non è capita e quindi non è pianta.  Una prova? Si proponga un disegno di legge che provochi lo scioglimento immediato dei governi, locali e nazionali, non ogni una (figurarsi, in questo mattatoio), ma ogni dieci spine staccate. La spina, si sa, è una metafora: la stacca il medico, con una flebo diversa; la stacca il camorrista, premendo un grilletto; la stacca il costruttore, risparmiando in sicurezza. Chiediamo a Vespa, agli intellettuali di sinistra, ai preti, di legarsi ai pali, nelle piazze, per portare in braccio ai politici le loro responsabilità. Accetterebbero?
Ma perché dovrebbero? Domani o domani l’altro, ai funerali di stato, tutti indosseranno le stesse lacrime, per Eluana. Sarebbe bello poterle misurare con quelle del padre. Per comprendere dove sta il dolore, che della morte è l’unica unità di misura.

Ai funerali degli altri non andrà nessuno. Normalità.


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