Elezioni italiane o referendum contro l’Europa?
par alessandro tantussi
sabato 2 marzo 2013
I risultati delle elezioni politiche possono essere letti come un “referendum” pro o contro l’Euro e l’Europa. Quanto più i partiti si sono distinti dalla politica europea tanto migliore è stato il loro risultato elettorale.
La coalizione che ha preso la sberla peggiore è senza dubbio quella più europeista: Monti (ed i suoi sventurati alleati Fini e Casini che si sono praticamente dissolti nell’acido abbraccio con Mario) si è presentato come il difensore dell’Europa, del rigore, delle banche, della finanza internazionale, dello spread. E per l’affamato popolo italiano? Chissenefrega, diceva la "regina consorte" di Francia "se non hanno pane che mangino le brioches”. Quelli erano tempi duri e fu così che con la Rivoluzione francese Maria Antonietta Asburgo-Lorena perse la testa sotto la ghigliottina del popolo affamato. Il nostro Mario di Strasburgo-Bruxelles non è destinato ad una gloriosa fine sul patibolo, l'incruenta rivoluzione elettorale del popolo italiano lo condanna al più mite "dimenticatoio", se ne farà una ragione. Al nostro paese non hanno certo giovato gli “endorsement” europei della Merkel da Berlino né gli appelli della comunità finanziaria internazionale, evidentemente gli italiani sono stufi di farsi dettar legge dall'Europa. Il popolo “ingrato”ed “ignorante”non ha tenuto conto delle ambasce della finanza dei potenti né dei colti suggerimenti dei “tecnici”. Il popolo bue (così lo appella chi ha perso le elezioni) si trovava in tutt’altre faccende affaccendato, senza soldi in tasca, senza un lavoro né prospettive di trovarlo si doveva preoccupare della “vile” incombenza di come fare la spesa dall'alimentari. Lo spread è un pasto indigesto quando non si ha di cosa mettere in tavola, forse Monti avrebbe dovuto dedicare la sua blasonata attenzione di accademico ai bilanci famigliari oltre che a quelli di Stato.
Veniamo a Bersani. Europeista, sia pur in tono minore, il segretario del Pd si era già schierato a favore di un accordo col Professore basato sul rigore dei conti pubblici, in sostanza ha predicato una politica tendente più alla stabilità che allo sviluppo. Per salvare l’Euro anch’egli non faceva presagire che lacrime e sangue agli stremati italiani. Annunciato da tutti i sondaggi come il vincitore predestinato, era convinto che perdere fosse una “mission impossible”. Ma nulla è impossibile per il partito più sfigato d’Italia. Oramai è un ritornello: a partire dai tempi della “gioiosa macchina da guerra” del povero Occhetto, passando per Veltroni, D’Alema e company, la sinistra non ha fatto altro che inanellare una serie di sconfitte quasi impossibili. Bersani non ha deluso la regola: dimentico dell’estrazione operaia del suo partito si è schierato a favore dell’Europa e dei poteri forti sperando di coprirsi a sinistra grazie all’accordo con Vendola. Non è andata così: per il Pd hanno votato solo gli “ipergarantiti” i grandi capitalisti, i broker, i finanzieri, grand commis di stato o percettori di pensioni d’oro. Coloro, insomma, a cui giova il mantenimento dello status quo hanno scelto Bersani, tutti gli altri, operai disoccupati, operai disoccupandi, piccoli imprenditori e partite iva hanno temuto per il loro futuro. Il povero Bersani dalle urne ha raccolto solo l’ennesima cocente delusione, si parla di dimissioni del segretario, gli apparati del Partito fanno dietrofront e già si pentono per non aver mandato avanti il sindaco di Firenze, almeno lui era simpatico.
Non male il risultato della coalizione “euroscettica”: il Pdl se l’è cavata bene, benissimo direi, meglio di così non poteva fare. E’ vero: se Bersani ha perso Berlusconi non ha vinto, ma dato per morto e sepolto da tutti, il Cavaliere ha saputo se non altro ribaltare il tavolo e le previsioni. Non ci voleva molto a capire che in tempi di crisi non si può parlare solo alla testa perché quando la fame incombe anche la pancia rivendica il suo ruolo. L’Europa non si mangia e di tasse non si vive, anzi, si può anzi morire quando sono esagerate. La storia ci insegna che le rivoluzioni nascono dalla fame del popolo e non dai ragionamenti di testa dei filosofi della politica. Berlusconi si è rivelato per l’ennesima volta più lungimirante di molti “tecnici”, ha parlato il linguaggio del popolo e, come l’araba fenice, è risorto dalle sue ceneri. Chi rischia di perdere il lavoro, il negozio, la casa o la piccola impresa se ne frega dell’Europa e dello spread. Il Cavaliere le avrà pure sparate grosse, ma almeno qualcosa ha detto, e lo ha detto a favore di chi non ce la fa più. Populista? Forse. Ma almeno ha fatto qualche proposta concreta per uscire dalla crisi e per dare qualche speranza al popolo stremato, si è presentato, insomma, come possibile soluzione alternativa all’ottuso sostegno all’Europa. Il giaguaro con o senza macchia (ma di certo senza paura) è di nuovo vigile in agguato, pronto ad assestare la sua zampata.
E il Movimento 5 stelle? Non c’è che dire Grillo ha spopolato. Lui è il campione dell’anti-Europa, anti-poteri forti ed anti-banche ed istituzioni finanziarie. Ha sparato a zero contro l’Europa, ha proposto perfino il referendum per uscirne. Intendiamoci: la politica anti-europea non solo non è l’unica connotazione di Grillo, forse non è nemmeno la più importante, ma di certo ha avuto il suo peso.
Comunque sia, quanto più si è distanti dall’Europa tanto più si riceve il consenso degli italiani, anche questa è una chiave di lettura delle ultime elezioni politiche. Qualcuno aveva previsto questo scenario post elettorale.
Finché resiste la democrazia le prossime elezioni, in tutta Europa, rifletterano questo stato di insofferenza.