Egitto, silenzio si vota
par Enrico Campofreda
martedì 22 maggio 2012
Se chiedi al fruttivendolo, fiorista, lavamacchine o al più socialmente piazzato egiziano d’Italia che magari fa il ricercatore universitario cosa si decide nell’urna delle presidenziali di mercoledì e giovedì prossimi la risposta è unanime: l’Egitto sceglie fra passato e futuro. Sembra un’ovvietà anche impulsiva e semplicistica, ma porta con sé del vero, che gli analisti valutano in base agli scenari presenti. Da ieri al Cairo alle maggiori città sino ai villaggi d’ogni latitudine vige il silenzio pre-elettorale al quale sia i tredici candidati (tutti uomini e questo è già un segnale) sia i media devono attenersi tassativamente. Si sa che in caso di ballottaggio si rivoterà il 16 e 17 giugno e che il presidente s’insedierà dal 21 di quel mese ricevendo dalla Giunta Tantawi il mandato di Capo dello Stato. Ma gli osservatori e anche più d’un candidato nelle ultime battute della campagna elettorale hanno concentrato l’attenzione proprio sulle potenzialità del mandato. Perché l’ultimo regalo offerto dal Consiglio Supremo delle Forze Armate prima del proprio “congedo” dal potere riguarda l’effettivo ruolo offerto al presidente. La cosiddetta Costituzione ad interim proposta dai militari in attesa del varo, tuttora incerto, della nuova Costituzione può conferire al presidente il diritto di sciogliere il Parlamento, nominare un procuratore generale in accordo col grande imam della Moschea Al-Azhar e il grand Mufti (sic).
La sua influenza è amplissima perché va dai nostalgici mubarakiani come Shafiq, a politici definiti nasseriani di sinistra (Sabbahi), ma per quel che s’è visto anche la Fratellanza Musulmana, dunque Mursi, ha avuto incontri con Tantawi per definire i ruoli di domani. E sicuramente questo dialogo è stato aperto col diplomatico Moussa e col candidato più trasversale: Fotouh per cui si schierano anche liberali, certi marxisti, salafiti, star dello spettacolo e tanti musulmani. Poiché questi citati sono nomi potenzialmente vincenti chiunque di loro dovesse prevalere porterebbe con sé un legame con quello “Stato nello Stato” che è la lobby militare, considerata da un politologo locale collocato a sinistra - El-Sayed Selim - come “l’attuale male minore”.
Eppure il fronte laico, liberale o di sinistra, sostiene come l’attuale esercito rappresenti una garanzia per non cadere nelle tentazioni di schierarsi in avventure o conflitti religiosi. Intanto iniziano a trapelare i risultati del voto fra le comunità di immigrati, quella popolosa concentrata nel Paesi del Golfo sta premiando Mursi, il candidato del Partito della Libertà e Giustizia. Si tratta comunque di una componente marginale dell’elettorato, 600.000 persone, la caccia all’indeciso è aperta per oltre un terzo dei 50 milioni di elettori. Saranno loro l’ago della bilancia di un futuro tutto da scrivere.